La percezione del pericolo
Il cittadino medio nella sua quotidianità si trova ogni giorno ad affrontare sfide e drammi. Alcuni più banali, altri più seri, ma senza dubbio vive in una situazione di precarietà. Siamo spaesati e travolti da problemi individuali e collettivi, dalla convinzione di vivere in uno stato di perenne pericolo. Come può il singolo dare un senso a forze ben al di sopra del suo controllo e comprensione, processi paragonabili ai capricci di divinità per una persona normale? Si dovrà pur cercare un senso, una soluzione, ordinare il caos dell’esistenza. Abbiamo creato filosofie ed ideologie per spiegarci il mondo e convincerci a cambiarlo, ma forse il problema è un altro. Forse è che siamo soggetti ad una profonda distorsione su come funzionino il mondo e i suoi problemi. I mezzi di comunicazione ci dicono i pericoli che corriamo, dalle guerre alle malattie, ma davvero sappiamo distinguere quali siano i reali pericoli da quelli che ci vengono descritti come tali?
Naturalmente non si può negare la gravità di alcune situazioni, soprattutto se parliamo del Covid-19. Lasciando però l’analisi sulla gestione dell’epidemia a studiosi più esperti, ciò che risulta interessante è la reazione: è stata a tratti isterica, sia quando si è trattato di ignorare una situazione gravissima – complici anche gli insabbiamenti operati dal Governo cinese e l’indifferenza criminale di molti capi di Stato – sia quando si è trattato di reprimere qualunque forma di comportamento ritenuto dannoso e causa potenziale di contagio (il governatore campano Vincenzo De Luca è diventato un meme vivente), a tratti disinteressata. Questi mesi sono stati segnati da due estremi, da un lato l’isteria collettiva, con gente che accorreva ai supermercati a fare scorta di cibo come se si stesse avvicinando un conflitto uscito dalla penna di Pat Frank, dall’altro la banalizzazione totale della situazione, anche grazie al proliferare delle teorie del complotto. I fatti, eppure, erano gli stessi: erano semplicemente percepiti diversamente.

A subire la stessa riduzione ad estremi è anche un altro tema principe del dibattito pubblico: l’immigrazione. Basta farsi un giro su una qualunque pagina Facebook riguardante la politica per incorrere nei commenti estremi, brutali e spesso xenofobi degli utenti: a quanto pare siamo bombardati dai clandestini e dai criminali. Eppure, secondo l’ISTAT, i non italiani non arrivano neanche al 10% degli abitanti in Italia (le stime precise si aggirano intorno ai 5,1 milioni) e di questi solo il 10% non è regolare, il che vuol dire che i clandestini costituiscono lo 0,1% della popolazione. La percezione stessa della criminalità è legata all’immigrazione. Quante volte si è detto che in Italia i criminali fanno quello che vogliono? Eppure le prigioni sono perennemente affollate e, secondo il Ministero della Giustizia, anno dopo anno la criminalità è in continuo calo, malgrado l’aumento dell’immigrazione. 4 stupri su 5 sono commessi da italiani, di solito da persone che conoscono bene la vittima. Solo un terzo dei carcerati è non italiano e solo l’1,1 % dei carcerati stranieri è dentro per associazione di stampo mafioso. La differenza, però, non la fanno i dati: la fa la percezione del pericolo.
Assistiamo costantemente a una semplificazione del tema alle opposizioni porti aperti / porti chiusi oppure immigrati risorsa / immigrati delinquenti. Ma quali sono le effettive modalità di gestione dell’immigrazione in Italia?
I porti non sono né chiusi né aperti, sono regolamentati, ovvero si entra in Italia solo ed unicamente nelle modalità prescritte dalla legge (clandestinità esclusa, ovviamente). Ad essere attualmente in vigore è ancora la Bossi-Fini del 2002, e le normative non hanno subito un grosso mutamento. La famosa storia degli immigrati negli hotel si deve, ironicamente, ai Governi di centro-destra, che addirittura pagavano più di oggi gli albergatori per ospitare i migranti – senza considerare poi il fatto che la sanatoria più ampia degli ultimi 20 anni sia stata operata proprio dal Centro-destra.

A cambiare è il dibattito pubblico: per un anno intero il Governo gialloverde ha finto una lotta senza quartiere all’immigrazione, quando nella pratica si è limitato a criminalizzare le ONG, accusandole di complotti ed infamie pur essendo le uniche a controllare effettivamente chi e quanti siano i rifugiati, a differenza della vera immigrazione non controllata.
La differenza tra destra e sinistra in questo senso è ideologica ed estetica più che contenutistica: ciò che la Lega ha realizzato, come tutte le destre populiste xenofobe, è stato creare un impianto ideologico ostile all’immigrazione anziché combatterla concretamente. Gli sfruttamenti economici e le guerre che causano l’immigrazione in primo luogo, del resto, sono stati approvati da questi partiti – non solo da questi, naturalmente, i britannici andarono in Iraq sotto il governo di Tony Blair, ma se veramente avessero voluto arginare il problema avrebbero dovuto incentivare lo sviluppo e la pacificazione internazionale anziché, ad esempio, commerciare in armi.
C’è quindi una notevole differenza fra la realtà e la percezione di essa. Qualunque individuo possiede una sua Weltanschauug (dal tedesco, “visione del mondo”), frutto di inclinazione personale ed influenza esterna e proprio quest’ultima influenza è diventata fondamentale. Internet ha concesso al mondo di collegarsi e trasformarsi a vicenda, a quanto pare non sempre positivamente. La rete come cassa di risonanza per gli eventi (una tendenza cominciata con la televisione) ed il morboso sensazionalismo delle notizie sono solo alcune delle ultime non proprio allegre conseguenze di Internet. La radicalizzazione della politica, sempre più incentrata su un aspetto emotivo che informativo, ha indubbiamente un ruolo centrale in un questa situazione. Robert Hughes, critico d’arte e saggista australiano, del resto parlava di cultura del piagnisteo, un dibattito politico-sociale più incentrato sull’estetica che sul contenuto; il sociologo Jean Baudrillard parlava addirittura di iper-realtà, una distinzione fra la realtà e ciò che si rappresenta come realtà.

Il World Wide Web potrebbe essere uno strumento di tremendo controllo sociale o di involontaria distruzione. Se è vero che ci sono Paesi che censurano completamente Internet, questo potrebbe essere il pericolo minore: il vero dramma potrebbe essere l’illusione della libertà.Pare siano, ad esempio, già ricominciate le intrusioni della Russia nelle elezioni americane, esattamente come 5 anni fa. La novità è semplicemente il metodo: i russi non si stanno sporcando le mani direttamente, ma stanno facendo leva sulle tendenze radicali già presenti nella cultura online americana, l’Alt-right, la Destra teoricamente alternativa costituita da un mix di reazionari e suprematisti imbevuti di mascolinità tossica. Sfruttano quindi tendenze già presenti diffuse grazie all’impianto mediatico, che attraverso algoritmi e tendenze sui social e nella cronologia permette un bombardamento propagandistico senza precedenti, riconfermando la nostra visione del mondo con tutti i suoi pregiudizi e stereotipi. Il fatto che questo potere sia in mano a chi possiede la disponibilità finanziaria per acquistare le inserzioni a pagamento consente alle grandi corporazioni e alle classi dirigenti un potere di terrificante alterazione sociale, anche involontario. Ci sono su Internet siti e/o persone che dietro compenso spargono notizie false volte a parlare alla pancia dei cittadini, con drammatiche conseguenze, si pensi alle fake news sui migranti o allo scandalo di Cambridge Analytica.
Se ci sono scuole politiche che cercano di utilizzare deliberatamente la manipolazione culturale per giungere ai loro obiettivi, come i “gramsciani di destra” della Nouvelle Droite, c’è di che essere allarmati.
La capacità di affrontare in modo critico e consapevole il mondo è ciò che effettivamente consente la democrazia, così come la tutela dei propri diritti. Spesso le dittature vengono descritte come più efficienti rispetto alle democrazie, in questo senso quella nazista è diventata un mito: in realtà erano corrotte e straordinariamente caotiche, semplicemente non esisteva la possibilità di scoprire e denunciare quello che non funzionava. Gli Stati totalitari sono abili solamente nell’impianto propagandistico, nella capacità di mantenere il potere, non di amministrarlo correttamente.
Hannah Arendt, la filosofa e politologa tedesca autrice de La banalità del male, sottolineava una cosa: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma colui per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso non esiste più”.
(L’illustrazione in copertina è di Farrah Yoo)