ArteAttualitàFashionFemaleLuxury

Perché la moda ha lasciato il segno a inizio anno?

Trepidanti sentimenti di attesa accompagnano, da sempre, l’inizio di ogni nuovo anno: tra sfilate, eventi e presentazioni, la moda si ritrova, in tutta la sua frenetica energia, a muovere le corde dei primi mesi e a diffondere una idea di propulsiva innovazione e accattivante sperimentazione. Dopo un 2022, che, nella sua capricciosa oscillazione tra memorabili colpi di scena e paradossali débacles, si è caratterizzato, alla fine, per la sua intrinseca inquietudine, ci aspettiamo un 2023 sicuramente meno tormentato e ricolmo di effetti a sorpresa, possibilmente in positivo. E i mesi di gennaio e febbraio ce lo fanno effettivamente sperare: nel settore del fashion system, sono risuonate le campane del cambiamento e, con emozioni contraddittorie, abbiamo accolto tutte le inattese notizie e tutti gli auspicati cambiamenti dei vari brand. Ma andiamo per ordine.

La scomparsa di Vivienne Westwood

Il 29 dicembre 2022 veniva a mancare, all’età di 81 anni, una delle più brillanti e vivaci personalità che la moda abbia mai conosciuto, Vivienne Westwood. Di animo ribelle e anticonformista, la stilista inglese ha segnato profondi sconvolgimenti e, con innato spirito di rivoluzione, ha rotto tutte le barriere di stile senza avere mai paura di esprimere la propria idea. Perché a lei, indomita combattente, non è mai mancato il coraggio di andare contro l’ordine prestabilito e di mettere in discussione il potere: le sue creazioni erano simbolo di una lotta stremata per il cambiamento climatico e per la democrazia nel mondo, erano l’essenza più intima della sua anima punk e la dimostrazione più vivida della sensibilità sociale della moda. Nel 1971 apre il suo primo negozio assieme a Malcolm McLaren, Let it Rock (“Dacci dentro”), al 430 di King’s Road di Londra, la cui insegna era un orologio con le lancette che giravano al contrario; diventato nel 1972 Too fast to live too young to die (“Troppo veloce per vivere, troppo giovane per morire”), nel 1974 Sex (“Sesso”), poi Seditionaries (“Sedizionari”) e, infine, World’s End (“La fine del mondo”), esso era un laboratorio di tendenze, nate da una conoscenza autoptica delle strade, tra le subculture giovanili nel loro nascere. Non un semplice negozio di vestiti, ma una bottega in cui fermentavano moti reazionari: bondage, latex e t-shirt bianche con una svastica, maglioni bucati, spille e borchie, il cuoio e la gomma utilizzati come materie prime di creazione, lei contrastava il capitalismo e, con lungimiranza senza precedenti, educava la sua epoca a tematiche quali la sostenibilità e l’ecologia.

La sua grandezza fu quella di contrastare, con enorme coraggio, il tradizionalismo britannico: basti pensare alla collezione Pirate del 1981, probabilmente uno dei più significativi fashion show del XX secolo. Il suo studio non si fermava più solo alla moda di strada, ma andava ad analizzare la storia del costume di tutte le epoche: è a lei che si deve la reintroduzione del corsetto e del faux-cul, che arrivavano dritti dal XVII secolo, divenuti poi elementi iconici dello stile Westwood. Gli anni ’80  e ’90 aprivano una grandiosa fase di sperimentazione e di reinterpretazione dei classici dello Scottish style: facendo sfilare uomini in gonna, con il classico kilt, utilizzando il tartan e il tweed scozzese, Vivienne metteva in crisi il concetto di gender, introducendo quella fluidità di genere tipica solo dei nostri anni. Ma, ogni volta, era la libertà femminile a ispirare i suoi capi: come dimenticare Cafè Society, sfilata della collezione Primavera/Estate del 1994, con abiti che, prendendo spunto dall’abbigliamento femminile dei secoli passati, nascevano dalla volontà di svestire le donne in tutti i sensi: sia dall’oppressione e dall’asfissia di abiti troppo pomposi, cuciti addosso per coprire ogni forma, sia dal conservatorismo patriarcale in cui erano ingabbiate. Da questo prendevano luce silhouette di stampo elisabettiano con elementi vittoriani, strati di tulle colorato, provocanti scollature e altissimi plateau: si veniva a creare una “perversione”, come la definirono molti critici dell’epoca, che ribaltava la sessualità e l’erotismo femminile, come sottolineato sia da Kate Moss, che sfilò in passerella coprendosi il seno con una mano e tenendo un gelato alla vaniglia nell’altra, sia dalle celeberrime poulaine, le scarpe di Cracovia, decorate con vibratori. Un elogio del piacere femminile, con la libertà di esprimerlo interamente. Una libertà che ha sempre contraddistinto Vivienne e che echeggia, oggi più che mai, con la sua scomparsa.

Men’s Fashion Weeks Autunno/Inverno 23-24

Il 2023 si è aperto all’insegna della moda maschile: tanti sono stati i defilé che si sono alternati durante il mese di gennaio, presentando le varie proposte uomo per il prossimo autunno-inverno. Sulle passerelle milanesi e parigine abbiamo assistito a svariate creazioni, con un avvicendarsi di capi, accessori e scarpe, che hanno oscillato dalla più casta formalità alla più vivace stravaganza. Classica sartorialità ed essenzialità delle forme sono stati elementi caratteristici di Gucci che, dopo il doloroso addio di Alessandro Michele, ha portato in scena una collezione pulita, mirata a dare inizio a una nuova era del brand: a fare da protagonisti sono stati abiti dalla foggia lineare e dalle tonalità pastello, con accessori che riprendono lo stile 80s come scaldamuscoli e calzamaglie, senza quell’apparato decorativo tipico delle collezioni precedenti. Capi di rigore sartoriale e di taglio classico sono stati proposti da Prada e da Giorgio Armani, un tailoring raffinato e confortevole è stato l’elemento propulsore della collezione di Paul Smith, mentre Kim Jones per Dior, riprendendo l’iconica prima sfilata di Yves Saint Laurent per Dior del 30 gennaio 1958, ha dato vita ad un avvicendarsi di capi, in una organica calibrazione tra l’oversize e la sartoria, che hanno fornito una idea di fluid urban man fortemente di classe.

La stessa idea è stata veicolata dall’uomo di Matthew Williams per Givenchy, che parte dal serioso e total black abito per arrivare a una collezione di streetwear con felpe, bermuda o gonne corte da indossare sopra i pantaloni: un uomo che si emancipa dalle austere costrizioni dell’abito per trovare la sua libera identità. Immenso nelle sue innumerevoli sfaccettature e nel suo percorso di crescita è, infine, l’uomo di Louis Vuitton: accompagnata dall’esibizione della cantante spagnola Rosalia sul tettuccio di una Cadillac Coupé de Ville degli anni ’70 tinta di un giallo acceso, la collezione, pensata in collaborazione con KidSuper, vuole essere la vivida rappresentazione del ciclo di vita di un uomo, caratterizzato da tappe fondamentali, ma anche da azioni quotidiane. E così i modelli si susseguono uno dopo l’altro in una scenografia che sembra essere una casa composta da un labirinto di stanze senza porte: un luogo intimo, fatto di ricordi e di passaggi.

La Haute Couture Week Primavera/Estate 2023

Ogni volta è sempre un piacere visionare i pregiati esemplari creati dalle varie Maison, che si alternano, uno dopo l’altro, sulle passerelle della settimana dedicata alla Haute Couture, tenutasi quest’anno a Parigi tra il 23 e il 26 gennaio. Un sentimento di stupore accompagna ogni spettacolo, perché, a differenza delle fashion week dedicate al prêt-à-porter, la Haute Couture rispecchia al meglio l’anima più vera di ciascuna casa di moda, che si ritrova a essere vivificata proprio dalle sue proposte. Sorprendenti sono state le tre enormi teste animali – un leopardo, un leone e una lupa – presentate da Daniel Roseberry, Direttore Creativo di Schiaparelli, che incarnavano le tre fiere incontrate da Dante nella Selva Oscura, allegorie rispettivamente di lussuria, orgoglio e avarizia. E proprio alla Divina Commedia era dedicata l’intera sfilata, con tre look per ciascuno dei nove gironi dell’inferno: un eccezionale susseguirsi di capi sfarzosi lavorati a mano, che volevano far riflettere sui dubbi del Poeta nel suo viaggio ultraterreno, esaltandone appieno la sua natura tutta umana.

Una Haute Couture che si svecchia e trova la sua anima più giovanile è quella presentata da Virginie Viard per Chanel: orli di abiti preziosi e tailleur accorciati per mostrare le gambe, cappelli a cilindro, papillon, stivaletti in stile ottocentesco bicolore, abiti lunghi in bouclé abbottonati per l’intera lunghezza, il tutto in una atmosfera quasi fanciullesca, sottolineata proprio dall’allestimento, ideato da Xavier Veilhan, con enormi sculture di animali (leoni, cervi, uccelli e cammelli) in legno, cartone e carta, che erano riproduzioni in scala gigante degli animali che Madame Chanel aveva nel suo appartamento al 31 di rue Cambon. E come ballerine di un carillon, le modelle uscivano da queste sculture per immergersi nel mondo moderno e rivelare al pubblico i loro vestiti. Location da sogno, invece, quella scelta per ospitare la sfilata Valentino Le Club Couture, ideata da Pierpaolo Piccioli per Maison Valentino: un ex club di Parigi ai piedi del Pont Alexandre III, con la Tour Eiffel sullo sfondo in tutta la sua imponenza. Una collezione che vuole essere un inno alla “stravaganza, alla self expression, alla libertà e alla individualità”, secondo le stesse parole di Piccioli: e quale luogo migliore se non quello del club, in cui “ognuno ha la possibilità di essere sé stesso”. È da questo che ha avuto origine il defilé, con un primo look in passerella composto da blazer, camicia bianca maschile, con cravatta e slip rossi chiusi con un fiocco rosso: un elogio della specificità di ognuno di noi, in cui non ha importanza mixare elementi maschili e femminili.

Proposte al limite del surrealismo sono state quelle di Victor & Rolf, casa di moda olandese, per questa Haute Couture Week. Centrale è stata la riflessione sul corpo in rapporto all’abito: sontuosi abiti da ballo in tulle che, in una sorta di distorsione della realtà, si distaccano dal corpo e avanzano sulla passerella prima della modella, quasi come entità altre rispetto a lei che resta in intimo, a rivelare quanto può essere difficile indossarne uno; abiti collocati di traverso rispetto alle modelle, che appaiono come dei manichini destinate inevitabilmente a vestirli. Da questo nasce la domanda, principio di tutto lo show: è l’abito a definire il corpo o il corpo a definire l’abito?

E dopo tutti questi momenti spettacolari, è stata l’anima poetica e aggraziata di Fendi a chiudere questa Haute Couture Primavera-Estate 2023: Kim Jones ha dato vita a una collezione in cui, con ieratica delicatezza, ha voluto esaltare l’alta artigianalità dei capi e la preziosità dei tessuti. Tra abiti riccamente lavorati con sontuosi drappeggi e abiti eternamente sensuali grazie alle trasparenze e alla lingerie a vista, quello di Fendi è stato un ritorno alla semplicità delle forme, probabilmente necessario dopo una settimana di eccessi.

Le donne di Mugler

Uno dei momenti fashion più attesi di gennaio ha avuto luogo, fuori calendario, l’ultimo giorno della Paris Haute Couture Week al Grand Halles de la Villette: stiamo parlando della sfilata Mugler Autunno-Inverno 2023, primo show della Maison parigina dopo ben tre anni (infatti, l’ultimo show risaliva a febbraio 2020, prima dell’inizio della pandemia di COVID-19). Casey Cadwallader, Direttore Creativo dal 2017, ha dato vita a uno show digitale, quasi cinematografico, e la presenza della macchina da presa e di supporti mobili al centro della passerella hanno reso bene l’idea. Il tutto era ripreso da un maxi schermo visibile al pubblico, che proiettava lo show proprio come al cinema. Tra le top model che hanno calcato la catwalk, in atteggiamenti e pose fortemente sensuali e accattivanti, sono risaltate le over 40: Eva Herzigova, Amber Valletta, Shalom Harlow e Debra Shaw, un ensemble di donne, di etnia, genere e fisicità molto diverse, che hanno portato i grandi capi dello stile Mugler, da sexy cut-out e tute in pelle, ad abiti in pizzo, bustier e body super aderenti. Un’idea di femminilità forte e decisa, spavalda e quasi irriverente, ha prevalso: una sfilata che ha portato in scena non solo abiti, ma vere e proprie performance, in uno scenario sfrontato e ardito, ma pur sempre elegante, perché la donna è tutto questo, e non solo.

La scomparsa di Paco Rabanne

Il 3 febbraio scompariva, all’età di 88 anni, lo stilista Paco Rabanne, fondatore dell’omonima casa di moda nel 1966. Di genio straordinario, lo stilista spagnolo usava per i suoi abiti materiali fuori dal comune come metallo, lavorato unendo piccole placche tra di loro tramite anelli, alluminio e plastica, divenendo il padre dell’estetica Space Age: questo suo approccio allo stile, tutto futuristico, è stato la cifra distintiva delle sue creazioni, non sempre comprese, ma risultati di un autentico avanguardismo. Coco Chanel definì il collega come “il metallurgico della moda”, per l’utilizzo massiccio del metallo, andando, di fatto, a pregiudicare la reputazione dello stilista: eppure, i suoi capi sono stati l’esito di lunghe fasi di ricerca sui materiali e sulle forme, dando alla luce rivoluzionari esemplari, fatti di metallo martellato, pelliccia lavorata a maglia, fibra di vetro e pelle fluo. Tuttavia, Rabanne non ha lasciato il segno solo nel mondo del couture (rimane leggendaria la sua collezione 12 Unwearable Dresses in Contemporary Materials, “12 Abiti Non Indossabili In Materiali Contemporanei”, del 1966), ma ha trasformato anche il settore della profumeria, con la sua memorabile fragranza di debutto Calandre nel 1969 e nel 1973 producendo la fragranza Paco Rabanne Pour Homme, la prima della famiglia aromatica-fougère. Primo designer in assoluto a utilizzare la musica durante le sfilate, divenne noto all’opinione pubblica per aver ideato i costumi di scena del film Barbarella del 1968: una commedia fantascientifica, ambientata nel 40000 d.C., in cui collaborò con il regista Roger Vadim per vestire Jane Fonda con le sue creazioni, in un mondo troppo distante dal nostro, come, forse, troppo distanti erano le sue idee per la sua epoca.

Prada è il brand più desiderato del momento

La piattaforma Lyst, anche in questo inizio anno, ha elaborato il famoso report relativo all’ultimo trimestre del 2022, in cui analizza i trend e i brand più in voga del periodo. In prima posizione assoluta troviamo Prada, che, dopo molto tempo, è riuscita a strappare il primato a Gucci, con un aumento delle ricerche del 37%. Ricordiamo che la borsa più desiderata del 2022 è risultata essere proprio la Prada Mini Bag Re-Edition 2000 in Re-Nylon: un grandissimo successo, dunque, per la storica casa di moda italiana. Al secondo posto troviamo la Maison fiorentina, che ha dovuto affrontare un duro periodo a causa dell’addio di Alessandro Michele, inaspettato e molto sofferto: tutti adesso attendono la nuova era di Sabato De Sarno, nuovo Direttore Creativo (con esperienza presso Prada e Dolce&Gabbana e già Fashion Director delle collezioni Uomo e Donna di Valentino), che presenterà la sua prima collezione in occasione della Milano Fashion Week Primavera-Estate 2024. Medaglia di bronzo per Moncler, che sale di ben 14 posizioni in classifica, seguito da Miu Miu, Valentino e Bottega Veneta. I grandi nomi francesi, Balenciaga e Louis Vuitton (che proprio in questi giorni ha annunciato come nuovo Direttore Creativo per menswear Pharrell Williams, dopo la grandiosa era di Virgil Abloh) sono, invece, calati drasticamente in classifica, insieme a Diesel che indietreggia di otto posizioni.

Lorenzo Latella

Pugliese di origine, sono studente di Lettere classiche presso l'Università degli Studi di Pavia e alumnus del Collegio Ghislieri. Nutro una grande passione per il mondo del fashion and luxury style, che cerco di coltivare come redattore di Inchiostro, in cui mi occupo della sezione-moda.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *