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Per la rivolta non basta un albero

Noi addestriamo dei giovani a scaricare napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere “cazzo” sui loro aerei perché è osceno.

La citazione del colonnello Kurtz (Marlon Brando) in Apocalypse now mi balza in mente come un lampo, mentre mi informo sui fatti che stanno sconvolgendo Istanbul e la Turchia in questi giorni. Citazione quanto mai calzante, se si è consci del fatto che le proteste di #occupygezi non sono soltanto roba ambientalista, scontri messi in atto da manifestanti che si preoccupano esclusivamente degli alberi del Gezi Park. L’occupazione dell’area verde di piazza Taksim è iniziata lunedì scorso, ma la questione parte da più lontano.
La distruzione dell’area verde di piazza Taksim si inserisce nei piani del governo, guidato dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan: piani che prevedono anche di radere al suolo un terzo delle vecchie abitazioni della città per far posto a un aeroporto, a un canale che sdoppierà il Bosforo e a una nuova moschea. In questa logica il parco dovrà lasciare il posto a caserme e a un centro commerciale.
Ciò che però ha portato sulle strade migliaia di persone nel giro di poche ore, provenienti anche da altre città come Smirne e Ankara, non riguarda soltanto riforme edilizie, ma si schiera contro la linea governativa di riforme secondo una volontà non laica di stampo religioso. Tanto che nelle ore passate la capitale turca ha dato vita a quella che è stata definita come “rivolta della birra”: tutti con una bottiglia in mano in segno di protesta nei confronti delle misure governative contro il consumo di alcolici. Altro emblema della protesta il bacio di migliaia di coppie, dopo che la scorsa settimana la polizia di Ankara aveva tentato di impedire una “protesta del bacio” in una stazione del centro della capitale, convocata dopo che le autorità locali avevano invitato i passeggeri della metropolitana ad un “comportamento morale”.
Proprio questo bisogno di “moralità” e morigeratezza mi ha fatto balenare nella mente la citazione riportata all’inizio, se penso al comportamento decisamente immorale e scellerato dei reparti di polizia scontratisi con i manifestanti. Le autorità dei palazzi richiedono moderazione mentre la stessa autorità, nelle strade, colpisce senza freni anche persone inermi. L’ammissione degli eccessi da parte di Erdogan, in seguito alle violenze di questi giorni, sono solo il forzato belato istituzionale, al quale infatti è subito seguito un perentorio ruggito diretto agli stessi turchi che lo contestano: la distruzione del parco non si fermerà, «qualunque cosa facciate». Come a dire: non dite che non vi avevamo avvertito. La solita gente che se la va a cercare, insomma, in primis le quattro persone che per difendere la laicità della propria repubblica hanno perso la vista; o come altri feriti dal getto degli idranti, o dai lacrimogeni sparati ad altezza uomo. Il tutto per un totale di due morti e più di 1000 feriti secondo Amnesty International, mentre le fonti istituzionali parlano di 79 feriti, 53 civili e 26 agenti. Quello che è certo è che tutto questo non sta accadendo per qualche albero, ma per la difesa della democrazia e contro tendenze, piuttosto rigide e conservatrici in senso confessionale, del governo Erdogan. Si potrebbe pensare che stia iniziando una lotta per preservare la laicità della Turchia, così come la volle il proprio fondatore Mustafa Kemal Atatürk. Per capire come finirà bisogna attendere la grande incognita: l’esercito non ha ancora preso posizione.

 

 

Questa mattina una calma tesa e precaria regnava per le strade, che dopo le ultime ore riprendono fiato. E a zittire le parole dei soliti chiacchieroni, che vedono sempre e soltanto la violenza di chi si indigna, hanno pensato i manifestanti stessi: quelli che ieri hanno occupato il parco dopo il ritiro della polizia, stamattina hanno ripulito piazza Taksim dai rifiuti.
La battaglia è appena iniziata ma serve il supporto di tutti, turchi e non, in Turchia come all’estero, facendo quello che si può – soprattutto per diffondere i fatti che stanno accadendo nelle città degli scontri tramite i social network. Tutto sta, come sempre, a noi che possiamo fare molto anche se ci appare poco. Ma che spesso non vogliamo fare, anche “solo” per infame ignavia. Un orrore di indifferenza.

@SteSfo

2 pensieri riguardo “Per la rivolta non basta un albero

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