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Pavia si tinge di poesia – Davide Ferrari e Alfonso Maria Petrosino

Articolo di Tommaso Romano e Giulia Depoli.

Pavia, la sera della prima domenica d’ottobre 2017, è stata riscaldata dai versi di Alfonso Maria Petrosino e di Davide Ferrari. I due giovani autori sono stati ospitati presso l’Osteria alle Carceri, un locale raccolto e accogliente che si è fatto conchiglia di voci e poesia. Riceve il padrone di casa Andrea De Alberti, anch’egli poeta.
Presenta i poeti la Professoressa Gianfranca Lavezzi, docente di Letteratura italiana dell’Ateneo pavese. «Solitamente è la fama del maturo professore presente alla lettura a garantire il valore delle opere proposte» commenta sorridente, «ma oggi i ruoli si invertono». La Professoressa, infatti, conosce bene i due autori e prova per loro affetto nonché sincera stima, e questo traspare senz’ombra di dubbio dai ritratti che offre di loro.

Alfonso Maria Petrosino, classe 1981, può vantare un esordio fuori dal comune: una tenzone vinta contro nientemeno che Dante Alighieri – «A tavolino», ammette, «Perché non mi ha mai risposto». Le sue prime vittorie poetiche vengono raccolte nel concorso “I poeti laureandi” (concorso pavese) tra il 2004 e il 2006. Dopo essere stato edito all’interno della raccolta Ultima notte di veglia e altre follie (OMP 2008), Petrosino è autore di Parole incrociate (Tracce 2008), L’autostrada del sole in un giorno di eclisse (OMP 2008), L’ostello della gioventù bruciata (Miraggi Edizioni 2015). Un lato importante della sua esperienza poetica è la pratica dei poetry slams, competizioni poetiche in cui è il pubblico che fa da giuria dopo esibizioni dal vivo. Microfono alla mano, in queste gare la recitazione del testo è cruciale, e Alfonso è un campione nell’ambiente, la cui voce si colora di tutte le sfumature che il suono può assumere. Già qui si identifica una caratteristica fondamentale della sua poetica: inserire la poesia in un circuito vivo, in un dialogo costante con un pubblico, mediato dalla voce prima ancora che dalla pagina scritta.

Davide-Ferrari-durante-una-lettura-pubblica-a-Pavia-319x212Più giovane di due anni, Davide Ferrari è artista poliedrico: oltre che poeta, è attore e regista. Ha finora pubblicato Missing link (OMP 2010), La cenere dei bordi (Subway Edizioni 2013) e l’autoprodotto Anime arrangiate (2010). Ferrari si colloca su di un’altra linea, scegliendo di comporre poesia in dialetto. Se il salernitano non è impiegato da Petrosino, figlio di una generazione che colloca il dialetto in secondo piano, Davide si nutre della “lingua dei padri” per riflettere sulla realtà che circonda l’uomo. Questo idioma, ovvero il dialetto di Lardirago, ricorda quasi commosso, venne a lui insegnato da Ersilia, la «maestra senza scola», la tata che preferì insegnargli con le parole che meglio conosceva: quelle del dialetto. Nel suo volume Dei pensieri la condensa del 2015 (editore Manni) dimostra che questa parlata esiste, vive e sa farsi poesia. La “musa” che ha spinto Ferrari a sperimentare il dialetto fu il poeta Franco Loi, attualmente uno degli scrittori più importanti sulla scena letteraria.

Alfonso Petrosino coniuga nei suoi testi la sicura padronanza di metri anche molto complessi con un’ispirazione sardonica ed esuberante. Le poesie di Petrosino sono attentamente curate dal punto di vista rimico e, soprattutto, si colorano di vivaci giochi di parole. Ma questo approccio non è lusus anacronistico o fine a sé stesso: anche dove i toni si vogliono mantenere più leggeri, si coglie una profondità di sguardo che cattura gli ascoltatori. In lui l’io lirico si presenta come fortemente influenzato dall’intertestualità con i modelli della tradizione. Nei suoi versi riconosciamo Coleridge e Auden, Virgilio e Orazio, nonché Dante. Ma, come lui stesso ha sottolineato altrove, il suo “io” è un “qualcuno” perché la sua poesia descrive e vuole descrivere l’altro, e spera anche che l’altro si riveda, come ad uno specchio. Colpiscono anche le fulminee definizioni di poesia e le strofe di un poema sul treno ancora in fieri, nato dal suo lavoro di controllore sul notturno Parigi-Venezia.a-m-petrosino
In Ferrari, la scelta linguistica porta con sé importanti implicazioni stilistiche: nei suoi versi c’è concretezza, c’è una musicalità ad accompagnare i volti e i caratteri catturati nelle pagine che è diversa da quella delle poesie italiane. La sua poesia è come la sua terra, ferma e potente, dalle sfumature profonde che si dispiegano a poco a poco da ogni ritratto, soffuso nella memoria dell’autore. Lo stesso tono si avverte anche nei testi in italiano; vibrante e appassionato, in particolare, è il monologo di Cristo alla Maddalena, così come le poesie che, forse, in futuro verranno raggruppate in una raccolta dal titolo Kuru.

Nel mostrarci il loro mondo interiore, i due si alternano nella recitazione, in una concatenazione perfetta dove un tema è introdotto da uno ed è ripreso dall’altro per essere riproposto. Così, se Davide parla della morte, indugiando maggiormente su riflessioni esistenziale, gli risponde Alfonso con una lirica di uguale argomento ma carica di ilarità. Non mancano quindi i “grandi temi”, fino a sfiorare il più grande fra tutti: Dio, che in Davide diviene «un gatto che ti fissa scuro», «uno sputo tra lingua e denti». In quest’ultima definizione, il gioco con il dialetto sfrutta l’articolazione dei suoni che porta la saliva a trovarsi tra lingua e denti, quando si deve pronunciare il termine “dio”.

Dopo le ultime poesie, la serata si conclude nella convivialità di un’atmosfera in cui il pubblico ha l’opportunità di interagire con i protagonisti della lettura. In molti hanno colto l’occasione di farsi autografare i libri di poesie dagli autori. E nelle parole dei presenti riecheggia anche il ricordo di Pierluigi Cappello, poeta friulano venuto a mancare proprio il 1 ottobre, la cui Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010) aveva aperto la serata. Questi ebbe modo di dire che «scrivere poesia oggi è da folli; è, però, un gesto profondamente civile […] perché la poesia è gratuità di gesto e di invenzione, e non dev’essere mai finalizzata». In fondo il suo testimone spirituale viene passato ai poeti di oggi, ad Alfonso Maria Petrosino e a Davide Ferrari, come comune eredità che ha la forza di una poesia che è sempre vita.

[Al link, le foto della serata di Pierino Sacchi]

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