Musica

Passi da gigante tra pianeti lontani: “Giant steps” di John Coltrane – parte II

Nella prima parte di questo articolo su Giant Steps, si è detto come questo brano sia difficile per molti jazzisti, come questo assomigli ad un viaggio tra pianeti molto lontani, e infine attraverso uno scorcio delle vicende personali e musicali di Coltrane come la sua vita sia di per sé un viaggio tra mondi distanti. In questa seconda parte infatti, attraverso un’analisi dettagliata del brano, la scelta del paragone astronomico risulterà ancora più evidente. Allacciatevi le cinture e sistemate il casco, lo Shuttle sta per partire.

(https://www.youtube.com/watch?v=30FTr6G53VU)

L’esempio dei pianeti non è stato fatto casualmente, infatti in musica la cosiddetta tonalità è la base su cui si costruisce il brano che stiamo ascoltando, essa funziona esattamente come la gravità di un pianeta, il suo centro tende ad attirare verso di sé ciò che ruota attorno in base al rapporto di distanza con esso, allo stesso modo funzionano le note in musica. Passare da una tonalità a un’altra si chiama modulazione, nell’ambito della musica comunemente detta classica è prassi comune e quella afro-americana non è da meno. A rendere uniche le modulazioni all’interno di Giant Steps e così ostiche per molti esecutori, è il modo in cui avvengono.

La modulazione più comune è quella che dista un intervallo di quinta rispetto al precedente centro tonale, infatti tra Do maggiore (C) e Sol maggiore (G), passano cinque note: (Do, Re, Mi, Fa, Sol), il movimento risulta musicalmente orecchiabile e confortevole in quanto tra i due ci sono molti elementi in comune. In entrambe le tonalità le note sono le stesse fatta eccezione per il Fa che diventa Fa diesis; allo stesso modo tra Sol maggiore e Re maggiore (Sol, La, Si, Do, Re) dove, oltre al Fa diesis, troviamo tutte le note uguali tranne il Do diesis. Il passaggio è reiterabile partendo da ogni nota sia salendo che scendendo di cinque note, arrivando a formare un cerchio, infatti il modello è facilmente riassunto nel cosiddetto: circolo delle quinte.

 

 

Le note sono contrassegnate secondo la notazione anglosassone, di conseguenza alla lettera A corrisponde il La, alla B, il Si alla C il Do alla D il Re, alla E il Mi, alla F il Fa e alla G il Sol.

Tale schema è stato studiato a lungo da John Coltrane, investigandone le relazioni che sussistevano tra le varie tonalità, tracciando linee tra di esse e raggruppandole in forme geometriche. Sviluppò una sua teoria e un linguaggio originale che avrebbe caratterizzato molte delle sue opere future, in particolare A Love Supreme del 1965, album tutt’oggi considerato l’apice della sua estetica e tra i migliori che un jazzista abbia mai concepito.

Immagine originale degli studi effettuati da Coltrane sul circolo delle quinte

Gli studi dietro il circolo delle quinte portarono Coltrane a concepire questo brano basandosi su delle modulazioni repentine tra tre tonalità molto distanti fra di loro, quella di Si maggiore, Sol maggiore e Mi bemolle maggiore, mantenendo al contempo il rapporto armonico più comune della musica jazz il cosiddetto “II – V – I” tre accordi fondamentali che evocano subito l’anima di questo genere. Ad esempio nel brano troviamo tre accordi nelle battute centrali: A-7, D7 e G. Dobbiamo immaginare questo movimento come un concetto fisico: G è il nostro “I” un centro gravitazionale dove l’energia dell’armonia è a riposo, mentre “II” è A-7, un punto intermedio che può sfociare in un aumento di questa forza che arriva ad una tensione altissima proprio in “V” ovvero D7, questo accumulo di potenza va poi a scaricarsi proprio in I. Nel brano questi rapporti di energia non sono mai fissi verso un unico punto di sfogo, ma l’effetto della modulazione è quello di creare tanti punti di tensione e riposo che nel nostro caso avviene in maniera molto repentina.

In quegli anni la prassi improvvisativa dei jazzisti era fortemente ancorata su due approcci, melodico o armonico. Improvvisare seguendo la progressione armonica era lo stile di Tommy Flanagan, infatti nella registrazione possiamo sentire come il solo del pianoforte sia quanto mai qualcosa di poco originale e flebile, Coltrane non gli aveva spiegato la logica costitutiva del brano, motivo per il quale qualunque pianista, nella stessa situazione, non saprebbe con certezza come improvvisare sopra questa sequenza di accordi.

Il triangolo rappresenta le tre tonalità più distanti nel circolo delle quinte, quelle che John Coltrane ha utilizzato per comporre il brano Giant Steps

Analisi armonica di Giant Steps, in Rosso la tonalità di Si maggiore e i suoi accordi, in Blu quella di Sol maggiore e in verde quella di Mi bemolle maggiore. Il rapporto armonico II – V – I non è applicato in misura uguale, nelle prime battute troviamo semplicemente dei V – I, progressione armonica comune in tutta la musica occidentale.

 

Passando per pianeti vicini al nostro troviamo condizioni atmosferiche spesso simili, ma viaggiando tra quelli molto lontani fra di loro notiamo subito che le differenze peculiari di questi si ampliano a dismisura e può risultare difficile ambientarsi in questo cosmo infinito. In Giant Steps Coltrane ci riesce comodamente e senza ponti di Einstein-Rosen che flettono lo spazio tempo permettendoci di viaggiare velocemente tra universi. Questa è la grande sfida che il sassofonista ha lasciato ai musicisti dal ’60 in poi, un nuovo stile d’improvvisare e concepire la musica, che ha ispirato, ma soprattutto, ha catturato l’interesse e curiosità dei colleghi e studiosi a venire.

Anche chi non pratica musica può percepire come questo brano abbia qualcosa di speciale e unico, e le sue peculiari caratteristiche sono, paradossalmente, comprensibili nella sua negazione, ovvero domandandosi: “Come sarebbe il brano se fosse stato scritto in una sola tonalità invece che in tre?”. Un anonimo ha caricato nel 2014 su Youtube, un arrangiamento amatoriale del brano, dove la tonalità è soltanto quella di Do. Il paragone tra la versione originale e quest’ultima, svelerà ogni dubbio.

(https://www.youtube.com/watch?v=qTYzYpb1MY0)

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