Musica

Passi da gigante tra pianeti lontani: “Giant steps” di John Coltrane – parte I

Giant Steps non è soltanto un brano complesso eseguito in maniera frenetica e veloce, ma un trittico di elementi importanti per ogni musicista: virtuosismo, studio e anima. A un primo ascolto anche un non fruitore di musica Jazz può subito intuire che stia accadendo qualcosa di unico mentre i minuti scorrono incessantemente. L’effetto è quello di camminare a grandi passi tra pianeti molto lontani fra di loro, ad esempio andare da Mercurio passando per Marte fino a Nettuno. La metafora dei pianeti non è un caso, e questo diventa chiaro sia all’ascolto diretto sia considerando alcuni elementi tecnici che prenderemo in esame nella seconda parte di questo articolo. Il brano diventa affascinante soprattutto quando si considera il percorso del Jazz fino al ’59, e in particolare la storia singolare del compositore di questo brano, John Coltrane.

Nacque nel 1926 nel North Carolina, ma si trasferì a 12 anni con la madre agli inizi degli anni ’40 a Philadelphia poco dopo la morte del padre. Cominciò a suonare il clarinetto ma al liceo passò al sassofono contralto. Ritornato a casa dal periodo di servizio militare nella marina statunitense avvenne uno degli incontri chiave della sua vita: assistette a un concerto del sommo sassofonista Charlie Parker, figura di riferimento per molti jazzisti dell’epoca. Lui è il re del Bebop, corrente del Jazz tra il post-guerra e gli anni ’50, genere che segnò un netto distacco tra l’era delle Big Band Jazz e quello delle formazioni ridotte come il Trio, il Quartetto o il Quintetto. Quello che rese Parker così amato ed emulato era, tra le tante, il modo in cui improvvisava: la rapidità, l’articolazione delle frasi, il ritmo incessante su cui fluivano le sue note cinguettanti.

All’inizio degli anni ’50 questo stile fu così emulato che arrivò alle orecchie della West Coast californiana, dove uno strepitio di jazzisti, tra cui molti bianchi, si appropriarono del Bebop, rendendolo più “freddo” e calmo, il cosiddetto Cool Jazz. In risposta a questo fenomeno, a metà degli anni ’50, per le strade di New York, i musicisti afro-americani portarono nei club un jazz più aggressivo, con moltissimi richiami al blues e al suo repertorio, ma mantenendo le innovazioni stilistiche portate dal Bebop contrapposto al Cool Jazz: l’Hard-Bop. Tutti questi sono elementi che condizionarono lo stile in divenire di Coltrane.

Uno degli esempi di questa influenza è “Ah-Leu-Cha” brano originale di Parker nella versione suonata dal Miles Davis Quintet, formazione in cui si era da poco unito il sassofonista da Philadelphia, nel 1955 per l’album Round About Midnight. Qui possiamo ascoltare questi influssi di  Parker, ma è altrettanto vero che all’interno dell’album è possibile percepire come il modo di suonare di Coltrane sia poliedrico e strizzi l’occhio tra il vecchio e il nuovo.

(https://www.youtube.com/watch?v=8ltI5ffpMoQ)


Copertina dell’Album Round About Midnight di Miles Davis, registrato nel 1955 e pubblicato nel 1957.

Erano anni felici per lui. Suonava in un gruppo che gli permetteva di sostenersi economicamente e da cui stava imparando molto, inoltre si sposò con Juanita “Naima” Grubbs, la sua prima moglie. Seppur felice era perseguitato da un demone che lo stava rovinando inesorabilmente.

A partire dal 1957, anno in cui venne licenziato dal Miles Davis Quintet, la dipendenza dall’eroina e il massiccio abuso di alcolici lo stavano distruggendo, era talmente consumato che spesso non riusciva nemmeno a suonare. Quel quintetto era il sogno per qualunque jazzista, suonare con Miles significava aver raggiunto vette altissime nel fitto panorama della grande mela. In quel momento aveva toccato l’abisso e il bivio era: morire nel fondo del pozzo oppure risalire, superandosi e diventando una leggenda. Il finale noi lo conosciamo, ma il percorso è stato molto travagliato. Decise di smettere tutto d’un colpo con la droga e per molti mesi ha vissuto sul proprio corpo l’inferno che una scelta così drastica comporta. La voglia di rinascere era le sua prima ancora, mentre la seconda, da buon figlio di un pastore, era l’incrollabile fede religiosa che riscoprì proprio in quel periodo. Nel ’58 l’artista ebbe il grande risveglio intellettuale e spirituale. La sua mente divenne un motore inarrestabile, studiò e si lasciò affascinare da concetti fisici come quello dell’infinito, in riferimento a uno dei più grandi pensatori che guardava con ammirazione, Albert Einstein. Come il fisico, anche il sassofonista era in cerca di una verità universale, concepiva la musica unita ad altre tre discipline: la matematica la fisica e la religione. Era pulito e pronto a rientrare in scena. Dopo un lungo periodo di sfiducia nelle sue doti come musicista ritrovò l’ottimismo e soprattutto tante nuove idee che lo portarono a diventare una delle grandi stelle del firmamento del jazz come lo conosciamo.

Incise il suo primo album solista e tornò a suonare con Davis nel ’59 per il nuovo disco del trombettista: Kind of Blue, album targato Columbia Records registrato in primavera in due sessioni a distanza di quasi due mesi l’una dall’altra. Tra le due sessioni di marzo e aprile, Coltrane incise un nuovo progetto come bandleader del quartetto composto da Tommy Flanagan al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Art Taylor alla batteria. Negli studi della Atlantic Records nacque Giant Steps, disco pubblicato solo nel gennaio del 1960, una delle grandi espressioni dell’anima di questo compositore e musicista.


Copertina dell’Album Giant Steps (1960)

L’album fu uno dei tanti interruttori che in quegli anni cambiò completamente il modo di concepire il Jazz, l’Hard-Bop era ormai un genere saturo e tutti guardavano verso nuove estetiche avanguardiste. Cos’ha di così particolare il brano da essere considerato una pietra miliare della storia del Jazz? Questo verrà spiegato nella parte successiva di questo articolo.

 

 

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