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Osamu Dazai: “tutto passa”

È il 1948. Siamo nel Giappone del dopoguerra. Lo scrittore Osamu Dazai completa quella che sarà la sua ultima opera: Lo squalificato, un libro-denuncia senza tempo sulla condizione umana.
Osamu Dazai nasce in una ricca famiglia giapponese di fantasmi: “sono stato cresciuto dalla servitù” afferma infatti. Delude subito i suoi assenti genitori: vuole dedicarsi alla scrittura ma nessuno lo appoggia. Contro l’opinione di tutti frequenta un corso di laurea in letteratura francese e svariati gruppi fortemente Marxisti. Il contesto ideale per l’insorgenza delle sue prime crisi depressive che culminano con un doppio tentativo di suicidio: lui e la sua amante decidono di togliersi la vita insieme. Lui sopravvive, lei no.
Già alcolista da anni, grazie ad un’appendicite scopre la morfina di cui diventa subito dipendente e mentre in Giappone arriva la seconda guerra mondiale, a Dazai viene una tubercolosi. Niente guerra per lui. Ma questo non gli impedisce di subirne comunque tutte le conseguenze.

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Osamu Dazai fotografato da Shigeru Tamura.

Nei suoi ultimi anni di vita scrive Il sole si spegne, un messaggio di disperata rivolta da parte di una generazione che ha vissuto l’inimmaginabile smarrimento e frustrazione del dopoguerra. Un messaggio che però non viene ascoltato, e Dazai non aveva dubbi. La sua parabola letteraria termina con Lo squalificato, libro in cui dona al mondo gli ultimi sfoghi di un uomo devastato dalla vita. Il protagonista di questo romanzo semi-autobiografico è Yōzō, alter ego di Dazai. Yōzō è un uomo malizioso: negli occhi di qualunque persona lui incontri si nasconde un doppio fine mirato allo sfruttamento dello stesso Yōzō, il quale a causa di questo sentimento di frustrazione non si fa scrupoli a succhiare tutto l’affetto possibile dalle poche persone che decidono di volergli bene davvero. La comunicazione con gli uomini diventa inesistente e le perverse incomprensioni che ne conseguono diventato un’ulteriore fonte di dolore.
La cultura giapponese, che per lui è sempre stata fonte di dispiaceri, in questo romanzo passa addirittura in secondo piano. Dazai è stremato e rende il dramma di Yōzō il dramma dell’uomo stesso. Impossibile non empatizzare con il protagonista: il suo disorientamento e la sua ossessione nel capire cosa qualifica un uomo sono comportamenti condivisi da ognuno di noi. La differenza è che alla fine della sua corsa Yōzō sente di aver fallito, di non aver passato il test, di non aver ottenuto insomma la “qualifica” di essere umano di cui ha tanto bisogno e il motivo è intuibile: Yōzō non accetta il male inevitabile della vita. Non esiste redenzione, ma solo un’accettazione dell’essere umano in quanto essere sofferente. Una condizione che proprio non riesce a mandare giù.
“Tutto passa”: questa l’ultima considerazione di Yōzō, maturata nel corso della sua vita fatta di accettazione. Capisce che tutto il dolore che la vita può far provare ad un uomo prima o poi passa. Capisce che i problemi causati dall’aver vissuto una vita dissoluta, quelli dovuti alle sue svariate dipendenze e ai suoi comportamenti, con un po’ di tempo passano. È con questa convinzione che Dazai conclude la sua ultima opera e abbandona moglie e figli a causa di un’infatuazione per Tomie Yamazaki, con la quale, dopo 38 anni di agonia e quattro tentativi riesce finalmente a togliersi di dosso il peso più grande che lui abbia mai sofferto: quello della vita.

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Copertina del manga “Lo squalificato”, di Usamaru Furuya (2009)

Lo squalificato esiste anche in versione manga, disegnato da Usamaru Furuya nel 2009. Un adattamento contemporaneo quello creato da Furuya, che ha sfruttato la malleabilità che solo una storia potenzialmente universale può avere. Yōzō nel manga infatti è un fumettista e non un pittore, e gli altri personaggi assumono sfumataure molto più moderne rispetto alla versione originale.
Nonostante  il contesto contemporaneo sia molto differente da quello vissuto da Dazai, questa storia rimane spaventosamente attuale. Il sentimento di disillusione e di esclusione dal mondo colpisce tutti indistintamente, portando l’uomo alla necessaria accettazione di queste emozioni. Come se ci fosse un imprinting biologico o un istinto di autoconservazione maturato con l’insorgere della consapevolezza di sé stessi durante la nostra evoluzione come esseri umani. Nel nostro processo di crescita la disillusione e l’ingenuità viaggiano su due rette parallele in direzioni opposte, portandoci a dare per scontati traguardi di sviluppo che alcuni superano senza difficoltà, mentre per altri diventano fonte di enorme disagio: al punto da non venire raggiunti nemmeno al conseguimento dei 39 anni, compiuti 6 giorni dopo la morte e avendo come regalo di compleanno il ritrovamento del proprio cadavere nel bacino di Tamagawa.

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