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Ordire e fuggire: gli incontri di mafie, legalità e istituzioni

Primula rossa. Sembra un nome innocuo e quasi romantico, ma così veniva chiamato uno dei boss più potenti di Corleone: Luciano Liggio (Leggio all’anagrafe), imprendibile e abile nel nascondere le proprie tracce. In occasione della rassegna Mafie, legalità e istituzioni“, organizzata dal Coordinamento per il diritto allo studio UDU e dall’Osservatorio antimafie di Pavia, la sua figura è stata al centro della conferenza “Da Luciano Liggio al processo infinito. Oltre qurant’anni di presenza delle mafie al nord” di lunedì 15 ottobre 2018.

Sono intervenuti durante la serata: Maria Luisa Balzarotti, presidente del collegio giudicante nel processo infinito; Giuliano Turone, giudice emerito della Suprema Corte di Cassazione, autore del libro “Il boss Luciano Liggio: da Corleone a Milano una storia di mafia e complicità”; Attilio Bolzoni, giornalista de la Repubblica, e a moderare la serata Paolo Renon, Prof. di Procedura penale.

Il 1974 è un anno importante: da questo momento in poi nessuno può dire che la mafia non esiste. Luciano Liggio viene arrestato a Milano nella sua casa di via Ripamonti dove viveva con la moglie sotto falsa identità. Il suo arresto fu possibile grazie a un’indagine sui rapimenti di Torelli e Rossi di Montelera. Collaborava infatti con l’Anonima sequestri e aveva importato i rapimenti al Nord da cui ricavava miliardi da investire nel traffico di eroina.

Come afferma Attilio Bolzoni, Liggio non assomigliava quasi per niente agli altri Corleonesi; Riina e Provenzano erano dei contadini riservati, egli invece era viziato, esibizionista e anche molto ambizioso. Non si fermò alla Sicilia, vedeva il mare come un ostacolo e lo superò per far arrivare il suo potere oltre l’isola.

Negli anni aveva stretto forti legami con ambienti eversivi e golpisti. È ormai certa la sua partecipazione al Golpe Borghese nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970. Due giornalisti de L’Ora di Palermo (Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato), attraverso le dichiarazioni di alcuni pentiti, avevano scoperto che la mafia avrebbe dovuto fermare chiunque avesse fatto opposizione e, ovviamente, dare una mano per conquistare la Sicilia.

Così inevitabilmente la mafia è arrivata anche al Nord. Durante la conferenza si è parlato infatti dell’Operazione Infinito, una maxi-operazione contro la Ndrngheta calabrese e le collegate cosche milanesi, portata a termine dalle Direzioni Distrettuali Antimafia (DDA) dei tribunali di Reggio Calabria e Milano. È iniziata il 13 luglio 2010 e ha portato a 42 condanne con rito ordinario e 92 con rito abbreviato. Tra i condannati anche Carlo Chiriaco, direttore dell’ASL di Pavia, che aveva stretto accordi con ‘ndranghetisti. Con l’Operazione Infinito si è infatti rivelata la presenza della Locale di Pavia: un distaccamento di ‘Ndrangheta che faceva capo a Francesco Bertucca.

Le organizzazioni criminali non solo superano il mare, ma iniziano a gestire i traffici di migranti, sfruttandone ogni debolezza e basandosi sul fatto che, più il migrante è lasciato solo, più loro possono utilizzarlo e affiliarlo. Se lo Stato si tira indietro e respinge, queste persone diventano monopolio delle organizzazioni criminali. Generalizzare, dicendo che sui barconi arrivano solo criminali, è un’affermazione molto pericolosa, molto ingiusta ed è la cosa peggiore che si possa fare perché è proprio ciò che le organizzazioni criminali vogliono: la comunità migrante deve essere completamente messa al margine in modo che loro diventino gli unici interlocutori.

Questo è stato il tema al centro della conferenza “Mafie e immigrazione, accoglienza e caporalato” il ruolo delle cosche nello sfruttamento della condizione di disperazione dei migranti, di Martedì 16 ottobre in Aula ‘400. Presenti alla serata: Leonardo Palmisano, etnografo e scrittore, insegna sociologia urbana al Politecnco di Bari; Stefano Catone, scrittore e collaboratore dell’On. Giusepepe Civati; Marco Omizzolo, sociologo e responsabile scientifico dell’associazione “In Migrazione” e la Prof. Cristina Campiglio, direttrice del Dipartimento di Giurisprudenza.

La Campiglio ha sottolineato che molti problemi in questo ambito sorgono perché non esistono norme generali in tema di immigrazione che obblighino all’accolgienza e quindi tutto è rimandato a discrezione del singolo Paese.

Nel nostro territorio esistono due sistemi: lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), nel quale è l’amministrazione comunale ad essere responsabile dell’accoglienza, e il CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), in cui l’accoglienza è gestita da privati, enti gestori, assegnati con bando ministeriale.

A questo proposito Stefano Catone ha smontato due miti: il primo è quello dei 35 euro e l’altro è quello dell‘invasione dei migranti. Ha spiegato infatti che dietro la gestione dei migranti c’è spesso un business: i 35 euro per migrante vengono dati al privato, con i quali dovrebbe garantire accoglienza e alcuni servizi che spesso però non concede e si arricchisce con quel denaro. Ha affermato inoltre che, al contrario di quella che può essere la nostra percezione, non siamo vittime di nessuna invasione. Le domande di asilo nell’UE sono 3,2 milioni di cui 320 mila in Italia e 1,4 milioni in Germania.

Marco Omizzolo, invece, ha raccontato la sua esperienza come bracciante sotto caporale indiano e italiano nel Pontino. Ha spiegato come da soggetti si divenga oggetti, perché si è costretti a denudarsi dei propri precetti, del proprio credo, della propria identità.

In Italia ogni anno vengono sfruttate a livello lavorativo tra le 400 e le 420 mila persone, di cui l’80% stranieri e il 20% italiani. I caporali spesso fanno assumere droghe ai braccianti prima di dormire o nelle pause per sostenere ritmi di lavoro pesanti, ma molti passano dall’oppio all’eroina e muoiono di overdose. In Italia vige la legge 199 contro il Caporlato che prevede pene severe per chi commette questo tipo di reato.

“Mafia nella Capitale: Ostia e il clan Spada” qualcuno si ostina a non chiamarla mafia. È l’ultima conferenza della rassegna “Mafie, legalità e istituzioni”, tenutasi lunedì 22 ottobre.

Sono intervenuti: Ilaria Meli, membro del CROSS (osservatorio sulla criminalità organizzata di Milano); Franco De Nonno, consigliere del X Municipio di Roma e Capogruppo della lista “Laboratorio Civico X”; e come moderatore Mattia Maestri, assegnista presso L’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’università di Milano. 

La Capitale è il territorio meno studiato per la presenza mafiosa, ma in realtà Roma è una città di mafia dal secondo dopoguerra. Ci sono state organizzazioni, come la Banda della Magliana, che hanno dovuto convivere con le mafie e hanno finito per collaborarci. A tessere questo rapporto già dagli anni di piombo era il boss Pippo Calò.

Ostia è un municipio di 200/300 mila persone e dal 2002 anche qui c’è la mafia. Il potere è detenuto dal clan Triassi che ha il contollo delle case popolari e soprattutto del settore balneare.

La settimana scorsa ci sono stati 42 arresti di persone appartenenti al clan.

Nessuna primula rossa.

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