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Onde: Nacimiento (Delivery, Martin Mejia Rugeles, 2015)

La tradizionale essicazione del pesce è una pratica lenta. In essa si può misurare il naturale scorrere del tempo, scandito dai battiti impercettibili della quotidianità più selvaggia. Lo sguardo contemplativo di Martin Mejia Rugeles cerca di catturare questi ritmi, finendo a sua volta irretito dalla maestosità della foresta colombiana, mentre la vita di un villaggio nella regione di Caldas si dischiude illuminata dall’impeccabile fotografia di Nicolas Canniccioni e David Gallego. A governare incontrastato e incontrastabile, l’elemento protagonista dell’intero film: l’acqua, emblema di una natura leopardiana, in cui sono riuniti i poli di vita e morte, nascita e estinzione.

Queste sono le forze che regolano l’esistenza della giovane Helena, prossima ad affrontare la sfida della maternità, passando attraverso un necessario percorso di accettazione e ricongiungimento con quel mondo primordiale pronto ad accogliere tra le sue frange o inghiottire spietatamente il nascituro.

Nell’insieme, trovano conferma le parole del regista, il cui progetto «ruota attorno all’idea della creazione della vita come risultato di forze contrastanti», idea realizzata con certa grazia cinematografica che nei suoi risultati più alti fa venire alla mente il cinema – questo sì, neorealista! – di un altro sudamericano, il “pedinatore” argentino Lisandro Alonso. Possiamo forse leggere un implicito richiamo a quest’ultimo nell’ingresso di una radio che, analogamente a una scena della Libertad, irrompe nella foresta selvaggia come contrastante simbolo di modernità.

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