Attualità

Omosessualità. La convenzione e la morale

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Sembra che la lotta per quella che, usando termini un po’ forti, può essere definita come la “parificazione o emancipazione degli omosessuali”, sia una lotta di nicchia. Come se fosse materia del tutto estranea al primo passante che si incontra la mattina uscendo in strada.

Non è cosi, e così non deve nemmeno sembrare. E’ la società intera che dovrebbe essere in prima linea contro ogni tipo di discriminazione.

Il nostro non è certo un paese di gente rinomata per la propria coerenza: in pubblico si è pronti, di fronte a ogni tipo di prodezza, a indignarsi, scandalizzarsi, a strapparsi i capelli. Nel privato invece, l’italiano ricorda più i personaggi di Brancati che Don Matteo.

Viviamo circondati una forte convenzione sessuale. Da dove questa venga, pochi se lo chiedono, e probabilmente è un quesito al quale non è nemmeno possibile fornire una risposta certa. Sicuramente relativizzare e banalizzare il problema ascrivendo tutte le possibili responsabilità alla Chiesa è sbagliato. E pedestre. Amare una persona dello stesso sesso, per la schiera papale, non è condannabile di per sé, visto che l’amore non può essere condannato. Basta rispettare il non moechaberis, ovvero il “non commettere adulterio”: che il cattolicesimo traduce come “non commettere atti impuri”. Il che ci ha resi più propensi a perdonare una scappatella, piuttosto che l’amore omoerotico.

Questa concezione, insieme a molte altre, fa parte di una convenzione sessuale. Non di una morale. La morale è cosa ben diversa. La differenza risiede nelle parole stesse: una morale, rispetto alla convenzione, è più ponderata e non è cosa data a priori, ma frutto di un ragionamento, di un dibattito sociale. Che si apre sempre più grazie ai cittadini, come nel caso de “I Salmoni” a Pavia, e sempre meno su iniziativa politica.

Fino a che punto continueremo a confondere la morale con la convenzione  non è dato sapersi. Sia perché siamo puramente e intrinsecamente italiani, sia perché con noi lo è tutta la classe dirigente. E non è dato sapersi nemmeno come sia possibile discutere di diritti delle minoranze in un clima pieno di pregiudizi che reagisce con campanilismo, senza portare ad alcun passo in avanti.

Serviranno altri anni, un altro scorrere di generazioni, per arrivare a non considerare l’essere omosessuali come un disonore. E per considerare tale, al contrario, l’omofobia.

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