Attualità

Oltre la vita, oltre la morte. Intervista a Beppino Englaro

di Giovanni Cervi Ciboldi

Eluana non deglutisce. Eluana non si muove. Non ha udito, non ha tatto, non ha più i sensi. Il suo encefalogramma è piatto. Uno stato vegetativo perenne frutto di un disperato tentativo di cura andato male. Il padre vuole rispettare la volontà della figlia ponendo fine all’agonia. Iniziano 15 anni di lotta burocratica. La magistratura lo permette, la politica no. Scoppia il caso Englaro.
Non è assassinio, non è suicidio. Si tratta di lasciare l’uomo libero di determinare il suo destino, allo stesso modo in cui un malato può rifiutare una cura. Non è culto della morte, ma culto della libertà. E’ un diritto.
La strumentalizzazione a cui questa situazione è stata sottoposta non ha fatto altro che mostrare quanto l’esercizio di un diritto di libertà fondamentale possa essere ostacolato dal mondo politico e religioso. Davanti al pugno di Ruini sulla questione Englaro, la politica rispose con un decreto ad hoc, populista e inutilizzabile; Avvenire si fece portatore di una campagna di fanatismo condotta da Lucia Bellaspiga, che, una volta divenuta oggetto di diffusione dei tg nazionali, ha permesso alla sua autrice di acquisire quel minimo di audience necessario per poter condurre oggi un nuova lotta contro Fazio e Saviano.
Tutto a confermare che non vi è rispetto per il dolore se questo serve al potere per fini superiori. Ma il finale della tragedia è noto: non è possibile vincere la morte, ed Eluana termina la sua non vita.
Oggi Beppino parla dei quindici anni di lotta per far valere il diritto di chi amava.
Un uomo che ha vissuto due tragedie: quella personale di vedere la figlia ridotta a vegetale, e quella di darle voce e di far valere i suoi diritti contro chi, del suo dolore, ha fatto uno strumento elettorale. Un dolore che non gli è permesso vivere privatamente: è stato calunniato, accusato di omicidio, e non ha ricevuto risposte dalla società, ma solo dalla magistratura.
Legiferare su un argomento così fondamentale dovrebbe essere al primo posto nell’agenda politica. Ma la bioetica è un argomento tanto spinoso da non poter essere in programma quando l’unica preoccupazione è non perdere il controllo del parlamento.
Così, all’alba dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia, lo stato non è ancora in grado di dare una risposta.
E si ostina a non capire che non si tratta di provocare la morte. Si tratta di accettare che non si può evitarla.
Inchiostro ha incontrato Beppino Englaro alla presentazione cremonese del suo libro “La vita senza limiti”.
Inchiostro – Sig. Englaro, che ne è della convenzione europea di Oviedo sul testamento biologico?
Englaro – Rispetto alla Costituzione, la ratifica di quella legge è gerarchicamente inferiore. Della Costituzione stessa però basterebbero gli articoli 3 e 13. E poi ci sono le sessanta pagine della sentenza. Ciò non toglie che bisogna avere delle leggi in tempi brevi. Non chiacchiere.

Quindi siamo in uno stato laico?
Che siamo in uno stato laico lo dimostra questa sentenza. Tutto quello che non sembra rispettare questo principio deve essere denunciato alla magistratura. La libertà fondamentale individuale è nella legge stessa. Quello che non c’è è la certezza di diritto: per far valere il mio ho impiegato quindici anni. La politica invece dice che quello di Eluana è stato un incidente di percorso.

Cos’ha dato così fastidio alla politica?
Che un cittadino abbia potere, che sappia di potersi affidare alla magistratura. Sollevare un problema così sentito e dare una risposta ha sollevato un polverone. Ho dovuto difendermi da tutti, ho subito parecchie denunce.

Di sicuro il suo esempio ha mosso le acque. A livello statale è cambiato qualcosa?
Il medico di Eluana dice però che oggi le cose sono cambiate, che oggi è diverso. Io mi sono dato voce da solo, ho lottato “per”, e non “contro”. Ma lo stato deve aiutare, non imporre. Così come la sfera dei diritti deve rimanere staccata dal resto, o meglio, il piano giuridico non può essere ostacolato da quello etico. E poi vi è un gruppo di medici che si muove. C’è del movimento, insomma.

E a livello sociale?
C’è sicuramente un prima e un dopo Eluana. Ora il fatto culturale è cambiato: io devo poter disporre della mia salute. Per la società la parola eutanasia è esecrabile, ma in realtà si tratta di libertà di cura. Sono l’informazione e la politica ad aver distorto tutto: hanno parlato di “morire di fame e di sete”.Quelle parole però hanno effetto su chi non sa pensare: l’opinione pubblica non deve diventare tribunale dei politici. Queste persone non ci sono piovute dal cielo: le abbiamo elette noi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *