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di Francesca Perucco

 

150 anni d’Italia e un presente di eccellenze imbarazzate che si fa chiamare “fuga dei cervelli”.
Nel 2009 in occasione del centesimo compleanno del nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini, l’attuale e discussissimo ministero dell’Istruzione volle celebrare la scienziata con un progetto che vedeva lo stanziamento di 6 milioni di euro da destinare a 30 contratti triennali per giovani e meritevoli ricercatori italiani. In quell’occasione il ministro Gelmini apparve sensibilmente interessata a risolvere un fenomeno che conta centinaia di lutti all’anno all’università italiana: i cervelli che si salvano pare non abbiano intenzione di tornare. A quel tempo tutti si chiesero chi fosse la fortunata trentina invitata a rimanere nel bel paese; 150 anni d’Italia ed è ancor vero che una mano lava l’altra.
I preparatissimi laureati italiani, intraprendenti per scelta o, forse, per necessità, sono ambiti obiettivi agli occhi dei più lungimiranti paesi europei che ancora investono sulla ricerca. Si tratta di menti brillanti che rispondono con passione a università straniere che sanno come valorizzare i frutti di una formazione che l’Italia ha pagato. Ma l’eccellenza italiana ora in fuga è il triste seguito di un passato d’intellettuali che ha saputo dare al nostro paese una tradizione di cultura, premiata dal nobel.
Giosuè Carducci e Camillo Golgi, sottobraccio, vinsero il nobel nel 1907. Il primo per la letteratura, il secondo per la medicina. Testimoni dell’ottima educazione offerta dall’Università italiana, Carducci si formò a Pisa dove vinse un posto presso la Scuola Normale, mentre Golgi intraprese i suoi studi proprio nel nostro ateneo.
Il giovane Golgi assaporò l’entusiasmo per la scienza sulla scia di grandi maestri come Lazzaro Spallanzani e Antonio Scarpa che avevano contribuito negli anni precedenti a fare della scuola di medicina il fiore all’occhiello dell’ateneo di Pavia. Il giovane medico, prima di virare sugli studi istologici si dedicò all’antropologia criminale. In procinto di laurearsi, infatti, egli collaborò ad un ambizioso progetto di studio che mirava alla dimostrazione di precisi parallelismi fra la delinquenza, le anomalie psichiche e quelle fisiche.
Seguì poi l’amore per il microscopio che lo rese celebre e lo incoronò nobel. Golgi contribuì ad un’importante svolta nello studio dell’architettura del sistema nervoso: con l’introduzione in laboratorio della “reazione nera” poté finalmente svelare allo scetticismo dei colleghi la vera faccia dei neuroni.
É di inizio Novecento, dunque, la primavera scientifica italiana, per la fine del secolo, invece, sono gli Stati Uniti a guidare l’avanguardia. Ecco allora Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini e Mario Capecchi, recentemente premiato, volgere lo sguardo oltreoceano per preziose collaborazioni con le migliori università americane. Non tutti si ricordano, forse, che tra un virus e l’altro il nobel Dulbecco, sempre per amore della scienza, s’intende, condusse il festival di Sanremo insieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta. Un vizietto italiano che non risparmia né reali né cervelloni.
L’unico premio nobel per la pace italiano va al risorgimentale Ernesto Teodoro Moneta, figlio di una famiglia milanese di industriali. Frizzante di spirito, quasi quanto le prime sode che furono messe in commercio dal padre, abbandonò gli studi che i documenti di archivio vogliono di nuovo legati all’università di Pavia, per unirsi a Garibaldi nell’impresa dei Mille.
Sembra nostalgicamente vicenda d’altri tempi che ad un giornalista come Moneta, per diversi anni direttore del “Secolo”, impegnato politicamente e di ardite posizioni anticlericali sia stato riconosciuto un nobel per la pace nel 1907.
Più volte viene premiata per arguzia ed ironia la nostra letteratura. Ecco quindi Dario Fo, nobel del 1997, che nel suo “Mistero Buffo”, con uno sguardo birichino sui vangeli apocrifi, racconta con sagacia la vita di Gesù. A lui il merito di concedere ad una voce di teatro la lucida quanto satirica critica della realtà. Fu Pirandello prima di lui a sperimentare l’efficacia dell’ironia e della provocazione. Egli tolse le maschere dai volti di nessuno e di centomila a svelarne i vizi e le paure. Cara Italia, che siano dei magistrati a meritarsi il prossimo nobel?

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