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“Nascere dalla parte giusta: tra presente e futuro”

“What are we doing” – DIRITTI IN GIOCO
di Simone Lo Giudice

Da un lato il 10 dicembre 1948 e dall’altro il 10 dicembre 2008: due date che si salutano a distanza di più di mezzo secolo, realizzando di essere tremendamente vicine nella loro lontananza. In occasione del 60° anniversario della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, tre esperti del settore come Paolo Pobbiati (presidente di Amnesty International Italia), Cristina Campiglio (docente di Diritto Internazionale) e Ian Carter (docente di Filosofia Politica) si incontrano in un’aula del Nuovo Millennio, presso l’Università di Pavia. Desiderosi di capire quanta strada sia stata percorsa dall’Uomo a partire Nascere dalla parte giustada quel 10 dicembre 1948 (data nella quale fu firmata la “Dichiarazione”), Paolo/Cristina/Ian mettono a disposizione la passione che ha animato la loro esistenza per offrirci tre strumenti indispensabili per inquadrare l’imperituro problema del “Rispetto dei Diritti Umani”.
Cristina, docente di Diritto Internazionale, pone l’accento sull’importanza di un inquadramento storico-giuridico del problema. Il suo breve excursus si dispiega tra due date molto lontane nel tempo, ma accomunate dalle medesime esigenze: da un lato il 1780 a. C./Codice di Hammurabi (una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella Storia dell’Umanità) e dall’altro il 9 dicembre 1948/ discorso della vedova Eleanor Roosevelt (la quale presiedette la Commissione che approvò la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”).

Tuttavia, tra il re babilonese Hammurabi ed Eleanor Roosevelt, ecco spiccare anche la figura di Thomas Jefferson, redattore della “Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America” (ratificata a Philadelphia, il 4 luglio del 1776), il cui incipit è passato alla Storia: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”. Infine, a distanza di qualche decennio dalla storica data del 1776, ecco spiccare quel 1789 parigino, in cui il nobile Lafayette (protagonista della Rivoluzione francese) chiede ausilio al medesimo Thomas Jefferson nella stesura della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, nella quale compare una nuova idea di Libertà come “quel diritto che trova il proprio limite nel rispetto del diritto degli altri”.
Paolo, presidente di Amnesty International Italia, mette a confronto due date: da un lato il 10 dicembre 1948 e dall’altro l’1 dicembre 2008. “Nonostante siano stati raggiunti molti progressi, il problema della difesa dei Diritti Umani rimane perlopiù irrisolto, in quanto sono molti i Paesi nei quali la Carta dei Diritti resta tale, cioè pura carta”: Paolo non può misconoscere una realtà nella quale si sono evidenziati molti buoni propositi, ma pochi fatti concreti. “Quello che conta, al giorno d’oggi, è nascere dalla parte giusta del pianeta: è un’amara conseguenza, ma è la realtà”: forte di un sapere pratico legato all’esperienza ventennale da volontario, Paolo pone l’accento sulla realtà concreta che affligge almeno metà della popolazione mondiale, costretta a vivere con meno di 2 euro al giorno. Tuttavia, se da un lato il “Rispetto dei Diritti” resta spesso “l’unica arma impiegata dai governi per giustificare un possibile attacco ad avversari, accusati di aver violato i medesimi Diritti” (vedi come è stata gestita la “Guerra al Terrore” da parte degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001), la speranza trova la sua ragione d’essere nella certezza che “l’attuale situazione non può rimanere ineluttabile in eterno”. A dare fiducia a Paolo sono gli stessi Stati Uniti, che dal 4 novembre 2008 hanno cambiato volto presidenziale, individuando in Barack Obama la prima legittimazione della Storia garantita a quell’Africa a lungo dimenticata, nonostante abbia contribuito a fornire buona parte dell’attuale base genetica della società americana, a partire dalla deportazione quattrocentesca (“tratta degli schiavi africani”).
Ian, docente di Filosofia Politica, propone un approccio filosofico al problema del “Rispetto dei Diritti Umani”, andando ad individuare una chiave di volta della discussione nell’esistenza di due diversi tipi di Universalismo: da un lato l’Universalismo etico (idea che i Diritti Umani debbano essere goduti da tutti) e dall’altro un Universalismo meta-etico (idea più filosofica, in base alla quale sia opportuno andare ad individuare su quali fondamenti noi stessi fondiamo la nostra moralità). In questo secondo caso, Ian riporta due diverse correnti di pensiero: da un lato la teoria neo-kantiana (la moralità si fonda su: “l’essere umano è dotato di dignità, cioè del potere di scelta razionale”) e dall’altro la teoria pragmatista americana (la moralità si fonda su: “gli esseri umani perseguono determinati interessi [muoversi, mangiare ecc.] che sono congeniti alla loro natura e che come tali devono essere rispettati”). Infine, Ian passa in rassegna il “problema dell’arroganza”, spesso congenito alla medesima affermazione dei Diritti, proponendo due possibilità: da un lato la necessità di restringere la lista dei Diritti su cui troviamo riconoscimento universale (corrente minimalista) e dall’altro l’idea della tolleranza come atteggiamento che trova terreno fertile in un’iniziale condanna, ma che porta ad una finale astensione d’intervento (corrente liberale). A concludere l’inquadramento filosofico del problema è la certezza propugnata da Ian che “la superiorità morale non possa non esistere, altrimenti sarebbe impossibile individuare i medesimi Diritti, processo avviato diversamente dalle singole culture”. Dunque “tolleranza reciproca” + “una lista ristretta di Diritti”: ecco la ricetta migliore per garantire il “Rispetto”.
Ore 22.30: i microfoni si spengono e Cristina/Paolo/Ian si dipartono da una sala del Nuovo Millennio, con la certezza che una maggiore sensibilità abbia stimolata le menti degli spettatori, che per età media (20/30 anni) terranno a cuore questa serata, terreno fertile per dare vita ad un mondo migliore, in cui si possa affermare di “essere nati dalla parte giusta” anche se la vita ci ha dato il buongiorno in Africa/Asia/America Latina/Europa dell’Est.

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