CulturaRiflessioni

Muro di Berlino, ciò che rimane.

Quel giovedì 9 novembre 1989 rimarrà per sempre nella Storia. Le immagini della caduta del muro di Berlino sono impresse indelebilmente nella mente di ognuno di noi, anche di chi, come me, non vi ha assistito direttamente. Le fotografie delle migliaia di persone addossate alla barriera, le orde di giovani festanti,  i filmati di chi la scavalcava, di chi, con pochi oggetti quotidiani cercava di abbatterla, così forti, così impressivi, così pieni di vita, rappresentano appieno lo spirito di volontà di pace, di speranza di pace che quel giorno riempiva i cuori di Berlino. Nel freddo autunno tedesco il desiderio di cambiamento riscaldava gli animi, si accendeva la volontà di realizzare un mondo diverso.

È stata una notte intensa, quella del 9 novembre ’89 a Berlino: con quel muro crollavano certezze, crollava un impero, crollava una sedicente democrazia che non aveva, però, preso minimamente in considerazione la voce del proprio popolo. Quella notte e nei giorni successivi, quella sedicente democrazia veniva calpestata dai suoi stessi cittadini, come i calcinacci del muro caduto.

Le settimane e i mesi che seguirono la caduta del muro, a livello geopolitico, cambiarono il volto del Vecchio Continente, fino a portarlo ad essere la realtà che conosciamo oggi: l’unione delle due Berlino fu il primo passo verso la completa riunificazione tedesca, che si compì passando tramite le prime – ed uniche –  elezioni democratiche della DDR – marzo 1990 – e che culminò nella ri-unione del paese dell’autunno 1990. Da quel momento, con l’ingresso del primo paese ex-comunista nella Comunità Economica Europea (che nel frattempo, durante gli anni del bipolarismo, era nata),  la Germania si candidò a diventare una delle principali potenze del Vecchio Continente, capace, ad oggi, di trainare le politiche dell’intera Unione Europea.

La DDR fu, però, soltanto il primo tra i paesi comunisti a cadere clamorosamente. Tutta l’Europa dell’est era in subbuglio, era stata schiacciata troppo a lungo dal peso di un regime dittatoriale che, per quanto si definisse comunista, non aveva nulla di egualitario, di equo, ma si adattava pienamente ad essere definito totalitarismo. Nell’Europa sovietica, da Berlino est, all’Ucraina, al Baltico, alla Siberia, le popolazioni erano state troppo a lungo assoggettate ad un potere che non le rappresentava, per questo, esasperate, nei primi anni ’90, erano pervase da una grande volontà di cambiamento. Tra 1990 e 1991 numerose repubbliche socialiste, si resero indipendenti dall’Unione Sovietica, a causa di sempre più forti spinte nazionalistiche. Nel 1991 crollò anche quella che sembrava una potenza indistruttibile: l’URSS, che già tempo appariva come un gigante fragile, indebolito da divisioni interne e corruzione, si spezzò sotto il peso dei contrasti tra il leader emergente del Partito Comunista, Boris Eltsin, e il presidente dell’Unione Sovietica, Michail Gorbacev. Nonostante i tentativi di quest’ultimo di salvare il gigante sovietico, tramite le politiche di perestroika e glasnost, il 25 dicembre 1991, Gorbacev fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni ed il giorno seguente l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche venne definitivamente sciolta.

Il comunismo in Europa si stava estinguendo. Dopo le varie vicissitudini che coinvolsero la Iugoslavia tra anni ’90 e 2000, le estreme sinistre europee si trovarono sempre più in difficoltà. Prendeva voce, invece, in questo periodo, l’Unione Europea, che aspirava a diventare qualcosa più di una semplice unione economico-monetaria. I progetti europeisti si arrestarono però nel 2000, a Nizza, quando si votò una prima volta in favore di un maggiore controllo dell’Europa sul governo dei singoli stati ma, nonostante i risultati positivi ottenuti, molti paesi, tra i quali la Francia, non ratificarono il provvedimento a livello statale.  Lo stesso accadde a Lisbona, nel 2007, quando i paesi membri furono chiamati a votare una seconda volta.

Oggi l’Europa nella quale viviamo è molto diversa da quella di 28 anni fa. Lo spettro dello stalinismo è completamente svanito, come pure le speranze di un’Europa unita e coesa sotto l’aspetto politico. Le spinte nazionaliste si stanno facendo sentire, gli stati  non sono disposti – di nuovo – a collaborare tra loro. Il quadro europeo sembra, quindi, molto diverso da quello del 1989, ma non per questo appare meno inquietante: molte delle speranze che ancora aleggiavano in Europa 28 anni fa, oggi sono svanite. La quasi totale assenza di validi modelli politici di impostazione sociale, la costruzione di sempre nuovi muri, l’assenza di una realtà unita a livello continentale, le spaccature interne ai diversi paesi, la presa di posizione – sempre più forte – dei nazionalismi, la repulsione xenofoba crescente continuano a lasciare spazio ad uno scenario che ricorda sempre di più quello dei primi anni ’30. Con la chiusura di quello che Hobsbawm ha definito come “Il Secolo Breve”, si è aperta una nuova stagione, le cui premesse, inizialmente piene di speranza, sembrano essere crollate in una devastante parodia del Novecento.

La vicenda del muro di Berlino avrebbe dovuto insegnarci come le divisioni debbano essere abbattute, non abbiamo imparato nulla.

muro di berlino corriere della sera

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *