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Mina Vagante: Sunset Song (UK, 2015)

Dopo il ritiro del Gran Premio Torino da parte di Terence Davies, già più volte richiesto al Festival e soltanto quest’anno presente, la visione di questo film fa rimanere in parte soddisfatti per il riconoscimento consegnatoli, in parte delusi. Sicuramente Davies è un regista enorme, tant’è che ha detto una delle poche cose che ancora credo sai vera: «dobbiamo cercare di mantenere la magia che è il cinema», e il modo con cui lo ha detto mi ha fatto commuovere.

Per la prima parte Sunset Song è la magia del grande film, che si giova di un cast perfetto e del coinvolgimento dato dalla voce narrante della protagonista Chris, una estatica Agyness Deyn, divisa tra amore della propria terra e sogni adolescenziali. Tutto ciò anche se il ritmo è squilibrato: ad un inizio drammatico segue un minutaggio troppo ampio in cui Chris è in un crescendo di felicità, per poi crollare nel dramma finale. Una scelta che vuole forse costruire un film, antipode del classico hollywoodiano, in cui la felicità non perdura dopo la scritta “fine”.

Il problema maggiore è che il senso di closure del romanzo si perde in un finale più onirico e meno definito. Accanto a questo, il cast non regge il tono di tragedia che deve raccontare il film (soprattutto Kevin Guthrie, una faccia d’angelo non credibile nella parte del veterano furioso) e alcune ingenuità nel montaggio lasciano l’amaro in bocca, come la scena ambientata fuori dalla cittadina scozzese di Kinraddie che porta per la prima volta gli spettatori fuori da quei luoghi in cui l’intero film è invece ambientato.

Da una gestazione di 17 anni, sinceramente, ci si può aspettare di più.

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