Recensioni

Mezza giornata in zona Porta Garibaldi

 di Matteo Croce

Roberto Sambonet, architetto, pittore, anche designer, grafico vercellese soltanto di nascita (1924) – sarà infatti Milano che lo adotterà per tutto il resto della sua vita (sino al 1995) – decise, durante la sua vacanza brasileira come docente al Masp (1948-53), di raggiungere l’Hospital Psiquiátrico do Juqueri, a qualche km da São Paulo e di soggiornarvi, come artista e non come internato – perché se così fosse stato, “soggiornare” sarebbe stato un tragico eufemismo – per sei mesi. L’ospedale è lo stesso che visitò anche Basaglia poco prima di redigere la legge che porta il suo nome, la 180, che condusse, sebbene a poco a poco negli anni, alla soppressione di quei metodi barbari, di quelle torture inflitte ai malati di mente, ai folli  – Foucault la chiamava “superstizione sociale”; questa follia- all’incontrollato (talora) crollo dei muri del manicomio. Dicevo: Sambonet, con il suo sguardo d’artista, coglie in particolare, senza apparente coinvolgimento emotivo ( come al contrario si avverte fortemente nei testi di Alda Merini, di Leopoldo María Panero, per citare due reclusi illustri) , i Volti dei protagonisti di quelle mura. La mostra, inaugurata l’8 ottobre e che resterà in allestimento sino al 23 di questo stesso mese, raccoglie su una parete tutte le facce, le espressioni, i movimenti di quei malati. Il tratto secco e dritto dell’artista sottolinea le rughe d’espressione, il taglio degli occhi (spesso socchiusi o deliramente spalancati), i gesti ripetitivi, individua i movimenti, trasmette le ansie. In questo senso ho utilizzato “apparente” riferendomi al suo coinvolgimento. Non si può, e talvolta nemmeno gli stessi medici ci riescono (penso a Tobino o allo stesso Basaglia), non essere trascinati nel vortice dei rumori, degli scatti, delle urla dei ricoverati. Sambonet fissa, non in un’immagine da lapide né da tomba funeraria, i visi dei pazzi e ci restituisce attraverso la semplicità dei tratteggi tutta la loro vitalità come le loro paure, tutto il loro trattenere o liberare quella condanna.
Alla mostra non c’era nessuno; solo qualche rumore di lavori in corso, rumori fastidiosi dal cortile.
Cortile dell’ospedale” è un hapax tra le opere esposte: non presenta nessun volto, solo sagome: l’artista vorrebbe raccogliere tutti i matti che ha visto e, questa volta, anonimamente?Ci si mette un attimo, o forse poco più, a guardare queste abili prove di disegno, queste impronte, questi calchi di follia. Del totale di 70 studi e 40 disegni, a china o a matita, ce ne sarà esposta circa la metà; la chiamano “cernita delle opere più significative” o qualcosa del genere. Sta di fatto che le altre tre pareti sono spoglie, e un’inutile riproduzione fotografica e ingigantita di un’opera dello stesso Sambonet (“Giungla brasiliana”) si erge sulla parete nord.Usciti dalla Fabbrica del Vapore, che forse nell’euforia di dimostrare quante ne so (poche N.d.A.), mi ero dimenticato di nominare (FDVLab, il luogo della mostra), basterà ritornare verso Milano Porta Garibaldi (fermata che avrete utilizzato anche per l’andata), e vi ritroverete sulla sinistra il Famédio (opera di Carlo Maciachini che non aveva previsto le moltissime transenne e teli e reti rosse da cantiere che la addobbano). Là sotto, nei paraggi, dovrebbe passare la metro lilla, la linea 5, dovrebbe; prima o poi passerà. Attraversato il Famédio, con la sobria e centralissima tomba dell’Alessandro, si può procedere lungo i due corridoi che si dipanano. Riscendendo le scale, potrete incamminarvi fra siepi, alberi e monumenti funerari più o meno imponenti del grande Giardino (dopo essere scesi nella pseudo-cripta al di sotto del Famédio in cui sono sepolti i corpi noti). Se non siete mai stati al Cimitero Monumentale de Milan, vi consiglio di passare al simpatico Info-point – lo troverete immediatamente alla vostra sinistra, una volta superato l’unico accesso disponibile – dove signore gentili e pazienti vi spiegheranno prima di tutto dove sono ubicate le toilette (dove potete pisciare), poi, a seconda del motivo per cui siete voluti venire lì – se desiderate fare visita, recitare una preghierina, sorridere malinconicamente davanti alle lapidi degli illustri letterati e degli intellettuali e dei cantautori e degli artisti (e – perché no? – sostare un attimo anche davanti alle lapidi dei soldati morti ammazzati o ammazzando) o se desiderate osservare analiticamente e criticamente l’architettura e le sculture funerarie di maggior prestigio – sapranno darvi tutte le indicazioni di cui necessiterete. Vi consegneranno anche una mappa in cui troverete chiarissime soltanto due lettere: la W e la C. Vi consiglieranno, conosciuti i vostri più o meno macabri propositi, dove vi converrà trascorrere, dalle 8.00 alle 18.00, un’oretta in Santa Pace. Anche qui un rumore, il frastuono intermittente d’un martello pneumatico per quegli incessanti (aprile 2015, pare) lavori in corso per la metropolitana, disturba non solo la quiete dei defunti, non solo quella dei visitatori, ma soprattutto quella dei residenti, vivi e visibilmente irritati.
La mostra è intitolata: “I volti dell’alienazione“, dal 7 ottobre sino al 23, INGRESSO LIBERO (a gratis);dal lunedì al venerdì, dalle ore 14:30 alle 19:00 / sabato e domenica dalle ore 11:00 alle 19:00.(Via Procaccini 4)
La mostra, qualora la vogliate visitare ad ogni costo, la potrete trovare a Firenze (dal 2 al 18 dicembre 2014) e infine a Roma (dal 24 aprile al 3 maggio 2015).
Il Cimitero monumentale resta aperto da martedì a domenica dalle ore 8.00 alle 18.00 con (badate bene) l’ultima entrata consentita a 30 minuti dalla chiusura. Chiuso i lunedì non festivi. (Piazzale Cimitero Monumentale)

 

 

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