Sport

Masters of Puppets. Quando il mestiere del burattinaio diventa un gioco da ragazzi

di Giuseppe Enrico Battaglia

 

Il giorno 27 agosto 2011 i calciatori di Serie A hanno scioperato, causando così il rimando della prima giornata del nostro campionato di calcio maggiore, nonché l’ira funesta del popolo italiano tutto.

In Spagna si è pure adottata una simile forma di protesta a causa di un debito di 50 milioni che i club avevano nei confronti di 200 giocatori, quindi potete immaginare il mio divertimento nel leggere che “certe cose succedono solo in Italiah.”

Cambiate argomento, davvero.

L’Italia conclude così le vacanze estive, col carico di rabbia e sgomento indispensabile per iniziare una nuova annata.

In questo quadro si aggiunga anche una forte campagna mediatica che, in periodi in cui la telenovela Rea-Parolisi non fa più audience, ci voleva un breve siparietto prima di ripescare dal cilindro il quadrilatero Knox-Sollecito-Guedé-Kercher.

Eccolo qui, dunque, uno sciopero dei calciatori che possa aizzare contro la categoria più invidiata e pagata d’Italia, e che consenta ai media di manipolare in tutta calma l’italico popolino.

Andiamo con ordine, e spieghiamo cos’è successo, perché la disinformazione intorno a questo caso è stata semplicemente imbarazzante.

Lo sciopero faceva perno sull’articolo 7 del contratto collettivo dei calciatori (no, non c’entra nulla con la manovra, chi ha tirato fuori questa perla di disinformazione voleva semplicemente usare un argomento di sicura presa sul popolino per, appunto, manovrarlo), del quale gli stessi hanno contestato l’ambiguità. L’articolo recita testualmente (nel punto che ci interessa): “Detto compenso […] non è soggetto ad alcuna riduzione o sospensione, salvo quanto previsto dal presente accordo.”.

In questo modo, sostenevano i calciatori, si lascia troppa libertà di scelta ai presidenti, e non sono mancati gli abusi di questa pratica (vedansi ad esempio il “Caso Marchetti”, che dopo il disastroso mondiale sudafricano è stato relegato fuori rosa dal presidente del Cagliari Calcio Cellino in circostanze ancora da chiarire).

Sul punto del contratto in questione il dibattito era già iniziato nel tardo 2010, e già allora lo sciopero era nell’aria, ma fu sventato. Quest’anno, a marzo/aprile, la questione si era ripresentata con rinnovata veemenza, e lo sciopero fu evitato da una manifestazione di buon senso da parte di tutte le parti in causa. Buon senso che, a fine agosto, non ha potuto prevalere sulle ragioni che ciascuno sosteneva di avere: in effetti anche i presidenti hanno ragione ad arrogarsi il diritto di mettere alla porta determinati calciatori (da buon juventino segnalo i casi Amauri e Iaquinta).

Ad ogni modo, avrete capito che anche qui il nodo cruciale riguarda il vil denaro, e potrebbe sembrare vergognoso che dei calciatori pagati e spesati in ragione di milioni di euro scioperino. Ma andiamo con ordine: il contratto collettivo coinvolge tutti i giocatori delle leghe fino alla seconda divisione (della lega pro).

Tolti i club di serie a, i calciatori non percepiscono certo ingaggi astronomici: basta vedere la situazione finanziaria di alcuni club di lega pro, per capire che gli stipendi non possono superare quello di un operaio full time.

Se loro finiscono fuori rosa, con conseguente riduzione di stipendio, non mangiano.

Se scioperano loro, però, l’Italia se ne frega e passa avanti. L’unica categoria il cui sciopero avrebbe fatto rumore, era la serie A, che si erge dunque a rappresentante di tutta la categoria calcistica italiana. Ecco spiegato lo sciopero, che è in realtà solo un “rimando”, ma a qualcuno faceva più comodo chiamarlo così.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *