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Marzo 1937 – 80 anni fa usciva in Italia “Tempi moderni”

Charlot. Charlot è un operaio di fabbrica. Il suo compito è quello di stringere bulloni. I ritmi disumani cui è costretto ad adeguarsi per lavorare lo logorano fino alle soglie dell’esaurimento nervoso, che lo porterà alla reclusione in una clinica psichiatrica, da cui per sua fortuna uscirà poco dopo. Questo è Modern times, questo è il grande capolavoro della storia del Cinema che mette in scena l’alienazione dell’uomo moderno in maniera del tutto originale e sorprendente: col comico. Le gag esilaranti e costruite alla perfezione per l’occhio della macchina da presa ancora oggi strappano un sorriso e fanno riflettere. E proprio questa era la grandezza del Cinema di Chaplin: unione inscindibile e perfetta di comicità e dramma.

Alcune scene di questa pellicola sono pietre miliari imprescindibili: il serpeggiare di Charlot tra gli ingranaggi, la macchina ad alimentazione automatica, la canzone improvvisata alla fine del film. Ed è qui che Tempi moderni è… moderno. Si tratta infatti del primo film sonoro di Chaplin, in mezzo tra il muto Luci della città (1931) e l’epocale Il grande dittatore (1940), in cui il finora mimico Chaplin si lancia in uno dei più celebri e indimenticabili discorsi della storia del Cinema. Un ibrido, un po’ sonoro e un po’ no, con qualche rumore e qualche parola, proveniente di solito dalla radio o dai macchinari e assai di rado da Charlot. Ma di nuovo l’estrema modernità dell’artista britannico fa capolino: nel film Chaplin canta, non parla mai. Ed è una scelta ponderata. Mentre finora il mutismo di Charlot era stata una necessità, qui la sua canzone assume un senso ed una forma ben precise. La forma dell’ormai notissima Nonsense song. Gli spettatori che poterono udire per la prima volta la voce di Chaplin non erano in grado di comprendere cosa stesse dicendo, o meglio cantando. La Canzone senza senso non è altro che la naturale evoluzione del personaggio di Charlot. Un carattere che funzionava per il cinema muto ma poteva non funzionare per quello sonoro. Chaplin aveva scritto e anche registrato alcune scene dialogate per Modern Times, ma questo lo aveva convinto soltanto del fatto che Charlot non dovesse parlare. E lo aveva anche portato alla conclusione che l’epoca di Charlot, con quelle sue scarpe troppo grandi, quella sua andatura goffa e quel suo temperamento buffo e bonario, era finita. Con Tempi moderni, con questa Nonsense song si chiude l’era del cinema di Chaplin alla Chaplin e “muore” Charlot.

Tempi moderni segna un punto di svolta nella produzione di Chaplin. Infatti non solo chiude l’era del muto e allo stesso tempo apre quella del sonoro, ma mette in scena una presa di posizione politica piuttosto forte troverà più larga espressione nelle pellicole successive (e tra queste in modo evidente soprattutto ne Il grande dittatore). I titoli di testa si aprono con una scritta:

«Tempi moderni, una storia i cui personaggi sono l’industria, l’iniziativa individuale, l’umanità che marcia alla conquista della felicità».

Si tratta di un’abilissima critica alla società, all’industria, alle politiche di sfruttamento del lavoro. La prima inquadratura è su un gregge di pecore, che si trasforma tramite un’arguta dissolvenza in un gregge di uomini che si avvia verso la fabbrica. Il vagabondo Charlot si fa operaio della Ford per raggiungere il preciso scopo di questa critica, ponendo fin da subito lo spettatore in una condizione di spaesamento. Nove anni dopo Metropolis, Chaplin mette in scena e proietta sul mondo la propria utopia economica, che prevede una distribuzione più equa non tanto della ricchezza, quanto del lavoro vero e proprio.

«La disoccupazione è il problema centrale dei nostri giorni. E le macchine dovrebbero lavorare per il bene dell’umanità, non per sostituirla», commentò Chaplin in un’intervista.

Modern times: esilarante e profondo, buffo e inquietante, la perfetta fine del personaggio di Charlot, il paradigma perfetto del cinema di Chaplin.

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