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Marco Paolini e “Le avventure di Numero Primo”: una storia di domani

Con l’ultimo spettacolo in scena il 17-18-19 aprile il teatro Fraschini ha chiuso la stagione di prosa 2017 – 2018, sul palco il drammaturgo, regista e attore Marco Paolini, premio speciale Ubu per il teatro politico nel 1995 per Il racconto del Vajont, nel suo ultimo lavoro: Le avventure di Numero Primo.

Scritto in collaborazione con Gianfranco Bettin, narratore e saggista, Le avventure di Numero Primo nasce con la volontà di essere un nuovo “episodio” della serie degli Album (racconti teatrali, storie autobiografiche in cui Paolini interpreta l’alter ego Nicola, biografia collettiva, racconti di una generazione) trasformandosi in itinere fino a divenire una “fiaba fantascientifica”, ma di fantascienza “teatrale” a cui necessita un impianto narrativo significativamente differente da quanto potrebbe essere in televisione o al cinema, fino a divenire una storia fantastica e surreale, una testa fra le nuvole con i piedi ben poggiati su un terreno reale in cui sempre più urgente e essenziale è il confronto con le nuove tecnologie, con le neuroscienze, la fisica, la robotica, la biologia, la genetica. È proprio la volontà di confrontarsi, di domandarsi e di cercare di conoscere le nuove tecnologie (e le prospettive future che queste possono generare) che muove il testo, in questo senso è da leggere il cambio di prospettiva, la variazione nella direzione dello sguardo che non più si rivolge al passato e al ricordo (come accadeva negli Album) ma cerca di guardare oltre, verso un futuro difficile da decifrare.

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Così Paolini, sul palco in solitudine davanti ad una scenografia minima (una roccia, un cumulo di neve, uno schermo dove appaiono decorazioni grafiche e supplementi audiovisivi al testo) ci racconta una “storia di domani”, di un futuro ipotetico ma assolutamente possibile, persino probabile; così Paolini ci racconta la storia di Ettore, fotografo freelance ex reporter di guerra, che diventa padre naturale per atto notarile di Numero Primo, bambino incontrato in una Gardaland in perenne espansione tanto da occupare tutto il lago, figlio di Echnè donna che Ettore non ha mai visto ma di cui è innamorato, padre senza atto sessuale con la consolazione «di essere il secondo nella storia». L’attore-narratore racconta le situazioni e gli eventi, interpreta i personaggi, alterna ironia a pathos e dramma, momenti di silenzio a momenti in rima che sembrano filastrocche cantate su sottofondo musicale, frasi a effetto a refrain comici, svaria tra un immaginario tecnologico surreale e uno naturale e nostalgico. Lo scenario della storia è una geografia reale soggetta agli effetti di un futuro immaginato: una Venezia in cui il Mose diventa spettacolo quotidiano e protagonista di scommesse, il polo petrolchimico di Porto Marghera diventato polo nord fabbrica di neve artificiale festeggiata una volta all’anno con una giornata di festa e porte aperte al pubblico: il giorno della Grande Nevicata, una Mestre multietnica e una Trieste in cui l’istituto Steve Jobs applica il protocollo “Vivi la scuola” con le dirette live delle lezioni e il blog per i genitori.

Ma nell’intreccio di digressioni narrative si innesta una dimensione di “spionaggio”, la storia si tinge di giallo, di fantascienza e di venature inquietanti: si scopre di come Numero Primo con i suoi occhi diversi , uno verde e uno verde più chiaro, sia in realtà una straordinaria creazione tecnologica, una sorta di automa, si parla di intelligenze artificiali come il super computer Arca Rerum, premio Nobel per la fisica e per la chimica per la mappatura del genoma di ogni specie vivente, di proprietà di una multinazionali disposta a tutto per catturare il bambino e per poterlo studiare. Padre e figlio sono costretti alla fuga, per nascondersi, per salvarsi, mentre il loro rapporto cresce, il senso di paternità diventa sempre più profondo e palpabile al pubblico; assieme a loro, nella fuga, l’inseparabile capra sintetica, ordinata da Amazon, stampata e consegnata in pacco anonimo in 45 minuti, e il compagno di scuola Mario Gizo, zingaro molto più maturo della sua età e amico vero di Numero.

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Al termine dell’evento più drammatico della narrazione giunge un finale sospeso, improvviso e inatteso, che lascia forse spazio ad un seguito, lascia la possibilità di avviare una narrazione ad episodi del tipo degli Album; in conclusione dello spettacolo Marco Paolini si rivolge direttamente al pubblico ponendo una domanda ironica nella forma, «davanti alla sbarra del telepass: fiducia o speranza?», ma con l’intenzione di azionare una riflessione sul  rapporto di ognuno con le nuove intelligenze artificiali, realtà tecnologiche e virtuali, riflessione necessariamente impellente per un rapporto “uomo – tecnologia” che diventa quotidianamente più profondo ed inevitabile, riflessione per conoscerne maggiormente “l’identità” e  per conoscere la nostra posizione e le nostre responsabilità rispetto ad essa, dalle parole del drammaturgo: «se la natura per noi è madre, la tecnologia è ancora indecifrabile, senza ruolo, sconosciuta».

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