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Marc Chagall e la sua Russia: tra folklore ed ebraismo

Anche la mia Russia mi amerà”: queste sono le parole che Marc Chagall, pseudonimo per Moishe Segal (1887-1985), artista bielorusso nativo di Vitebsk, scrive a conclusione della sua autobiografia, e che fungono da Leitmotiv per la mostra recentemente inaugurata a Palazzo Roverella a Rovigo, fruibile dal 19 settembre 2020 al 17 gennaio 2021 (qui il sito). L’evento ospita circa settanta quadri provenienti da gallerie pubbliche e collezioni private di tutto il mondo, riuniti per indagare a fondo il complesso rapporto tra il pittore e il suo paese d’origine, con un focus speciale sulla particolare tradizione folkloristica russa.

Chagall comincia a dipingere quando è molto giovane, e non senza difficoltà: l’artista infatti proveniva una famiglia ebraica chassidica, la cui cultura vieta la riproduzione di qualsiasi tipo di immagini. Grazie all’aiuto della madre riesce a proseguire gli studi pittorici e si trasferisce a San Pietroburgo, dove ha luogo la maggior parte della sua formazione: questo è anche il momento in cui inizia a viaggiare per l’Europa e a creare la propria identità personale e artistica grazie al contatto con personalità di spicco della sfera culturale e movimenti di Avanguardia.

Marc Chagall, Autoritratto davanti a casa (1914) collezione privata
Autoritratto davanti a casa (1914), collezione privata

Nell’Autoritratto davanti a casa (1914) Chagall si ritrae a Vitebsk, il villaggio russo dove ha trascorso parte della sua infanzia. Se si osserva la figura in primo piano, l’abbigliamento formale e il portamento dell’artista appaiono quasi fuori luogo rispetto alla semplicità degli edifici che fanno da sfondo, simili a delle capanne con i tetti spioventi. Il tocco di verde sulla fronte anticipa un tratto caratteristico di tutta la sua produzione, ovvero l’uso del verde come colore dell’angoscia, quasi fosse la spia che rivela la presenza di un tarlo nascosto, un cromatismo che si ritroverà in maniera pregnante in moltissimi sui quadri. L’opera appartiene al periodo parigino, quando Chagall aveva ormai completato gli studi e si era trasferito e affermato pienamente nella dinamicissima capitale francese, poco prima dello scoppio del primo conflitto mondiale. Eppure, una parte di lui non riuscirà mai a lasciare andare quel luogo che lo faceva sentire tanto immobile e limitato: egli, parlando del paese natale scriveva: “Vitebsk è un paese del tutto a sé, una città singolare, città infelice, città noiosa (…) Non è che la mia città, la mia, che ho ritrovato”. 

Vitebsk è anche il luogo adottato come deposito della memoria artistica e personale. Artistica perché si registra l’influenza del carattere sacrale delle rappresentazioni nel mondo russo, utilizzate anche come strumento conoscitivo nell’ambito di una cultura fortemente analfabeta: un particolare ruolo è affidato alle icone sacre così come ai lubki, le stampe popolari, che con la loro bidimensionalità e la semplicità dei soggetti costituiscono un punto di partenza per l’intera produzione chagalliana.

Il paese è anche custode e in qualche modo contenitore della memoria personale perché è lo sfondo costante dei quadri che rappresentano la sua relazione con la moglie Bella, a cui l’artista era molto legato. Ne La notte verde (1952) vediamo rappresentati i due sposi avvinghiati come un solo corpo, spettatori dell’avvicinarsi, su Vitebsk innevata, di una figura caprina, simbolo ebraico della protezione del focolare domestico e immagine molto cara al pittore e per questo ricorrente nelle sue opere.

Marc Chagall, La notte verde (1952), collezione privata
La notte verde (1952), collezione privata

Il colore verde dell’animale e il volto funereo dell’artista, che assume toni violacei, tradiscono il taglio nostalgico e angoscioso dell’opera, realizzata otto anni dopo la scomparsa di Bella, una dimensione dove persino il mondo onirico della memoria viene intaccato dalla violenza della realtà, che ne deforma i tratti e la rende sempre più amara. Proprio al centro del quadro è presente una figura appena abbozzata, che quasi si mimetizza con l’architettura retrostante: è l’ebreo errante, un personaggio che occupa un ruolo privilegiato all’interno dell’universo chagalliano, simbolo di quella diaspora che coinvolge in parte anche l’artista, costretto alla fuga negli Stati Uniti per evitare la persecuzione nazista nel 1941. 

Le radici ebraiche plasmano il suo modo di percepire e rappresentare la realtà che lo circonda e sono fonte di una costante ispirazione, che a un certo punto diventa una componente intrinseca della sua produzione, tant’è che ogni simbolo presente nei suoi quadri non è mai soltanto russo o ebraico, ma il risultato di un sincretismo dove la rielaborazione artistica personale occupa un ruolo preponderante e funge da collante e linea interpretativa. È un esempio di questa fusione l’attenzione che l’artista dedica al gallo, animale che nel mondo russo indica potenza, virilità e rinascita in quanto ha il compito di dare la sveglia all’uomo, mentre nel mondo ebraico il gallo è la vittima che il rabbino sacrifica alla vigilia dello Yom Kippur. Collocandosi allo stesso tempo a metà strada e da entrambe le parti, Chagall rappresenterà l’uccello diverse volte, spesso in compagnia di figure umane o in fusione con esse.

Marc Chagall, Uomo-gallo sopra Vitebsk (1925), collezione privata
Uomo-gallo sopra Vitebsk (1925), collezione privata

La figura dell’ebreo si nota anche ne La pendola dall’ala blu (1949) : la pendola è un oggetto fondamentale per la cultura ebraica, in quanto è lo strumento che permette di scandire lo scorrere del tempo, partendo dal microcosmo della propria casa per arrivare a misurare il ritmo dell’universo e della storia. In questo quadro il tempo sta prendendo il volo nella buia e fredda Vitebsk, trasportato da un’enorme ala blu; il tempo racchiude le figure di due amanti, probabilmente Marc e Bella, portando via con sé la loro seria, e in primo piano il profilo appena accennato e incolore dell’ebreo diventa il simbolo dell’errare umano e della fuggevolezza di ciò che ci scorre tra le dita.

Marc Chagall, La pendola dall'ala blu (1949), collezione privata
La pendola dall’ala blu (1949), collezione privata

Chagall continuerà a dipingere fin quasi alla morte, avvenuta a 97 anni nel piccolo borgo francese di Saint Paul de Vence, oggi sede del Museo Chagall a lui dedicato. La sua produzione ha segnato profondamente la storia dell’arte novecentesca e ha dato un nuovo significato all’Avanguardia, arricchendola di una modernità che si presenta come risultato di un intreccio tra memoria, religione e leggenda e creando un linguaggio che tutt’oggi è uno dei migliori modi per comunicare con la nostra sensibilità postmoderna.

“Dimmi Chagall quale strano linguaggio / Il quadro parla al contempo senza parlare / E di cosa mai l’immagine è immagine / Come il fiore nascosto nel cuore del grano” (Louis Aragon)

Maria Bovolon

Maria Bovolon è nata il 4 maggio 2000 a Legnago. Laureata triennale in Lettere Classiche, è ora iscritta alla magistrale di Storia Globale delle civiltà e dei territori presso l'Università di Pavia. È alunna del Collegio Ghislieri.

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