Pavia

MAFIE 2014: DENUNCIARE LA PAURA

Si apre in Aula Magna con Mattia Sguazzini, segretario dell’UDU, la seconda serata del ciclo di conferenze “Mafie 2014: legalità e istituzioni”, interamente dedicate al professor Vittorio Grevi. A ricordarlo con grande affetto è il professor Rognoni, sottolineando la cura che Grevi ha sempre avuto nei confronti dei suoi allievi, l’amore per questa nostra Università e la lunga collaborazione con il Corriere della Sera.
È il professor Renon che finisce di delineare il ritratto del professor Grevi, lodando la sua alta statura di giurista e studioso e il suo costante impegno civile. 
Si entra dunque nel vivo della serata con il botta e risposta tra Gian Carlo Caselli, ex procuratore della Repubblica di Palermo e Paolo Biondani, Giornalista de L’Espresso, circa “Il Coraggio di processare il potere”.
Caselli precisa subito che la mafia non è soltanto “profilo militare”, non sono solo delinquenti di strada, è crimine organizzato, relazioni esterne con i pezzi grossi della politica, dell’economia, della finanza, della cultura: questo il motivo della sua persistenza nei secoli.
Dopo aver evidenziato l’importanza di una corretta informazione, Biondani pone l’accento sul caso dell’onorevole Giulio Andreotti, accusato per associazione a delinquere con Cosa Nostra. Prima assolto nel 1999 dalla sentenza di primo grado per mancanza di prove sussistenti, nel 2003 la sentenza di appello, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì che Andreotti era colpevole di aver partecipato all’associazione a delinquere, reato però estinto per prescrizione, mentre per i fatti successivi era assolto.
Sono molti i magistrati ad aver pagato per la loro adesione alla causa “antimafia”, ma tra tutti Caselli, che ha avuto un ruolo centrale nel caso Andreotti, può dire di aver avuto un trattamento speciale, una legge ad personam che impediva a coloro che avevano compiuti i 65 anni di ricoprire la carica di procuratore antimafia.

Non solo una legge contro Caselli, ma una legge “contro tutti i magistrati che volevano rimanere indipendenti”.
Caselli riepiloga le tappe percorse delle istituzioni antimafia dagli anni ’90 sino ad oggi: prima di Falcone e Borsellino la mafia non esisteva, veniva negata in maniera autorevole. Quando loro entrano in giocano si incomincia a capire che si può combattere e si crea un metodo di lavoro basato su specializzazione e centralizzazione.
Invece di trovare alleati, Falcone e Borsellino vengono accusati di essere “professionisti dell’antimafia”, magistrati che cercano di seguire processi di mafia per acquisire titoli utili per scavalcare altri con maggiore anzianità, ma meno esperienza; vengono accusati di uso spregiudicato dei pentiti, uso distorto della giustizia, uso di parte, uso del pool come centro di potere: di attacco in attacco il pool viene demolito e il metodo di lavoro vincente cancellato. Perchè è successo tutto questo a Falcone e Borsellino?
La tempesta si scatena quando invece di occuparsi solo di mafiosi di strada ci si incomincia a interessare dei potenti. La difficoltà di processare il potere, tema della serata, rappresenta una difficoltà reale e misurabile, perchè se guardiamo alla storia degli ultimi 20 anni del nostro paese si nota una delega costante di problemi che la politica non sa e non vuole affrontare.
La delega è come un’asticella, mai nominata, ma intuibile se non chiaramente visibile; non bisogna superarla per occuparsi dei personaggi “eccellenti”, così da non rischiare una ritorsione.

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