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“Madre, ho imparato l’amore”, per una Settimana Santa “anche laica”

Domenica 25 marzo si è aperta per le confessioni cristiane di tutto il mondo la cosiddetta Settimana Santa, periodo in cui si celebrano la sofferenza e la morte di Gesù Cristo, prima della sua Risurrezione. Tradizione culturale e religiosa antichissima, la Settimana Santa è il cuore della vita liturgica delle Chiese Cristiane, in particolare di quella Cattolica; nel corso dei secoli ha ispirato opere letterarie, artistiche e culturali a diversi livelli. Ma oggi, nel 2018, ha ancora senso celebrare i riti della Settimana Santa? E soprattutto, essa possiede un senso strettamente confessionale, per i credenti, o può assumere anche un significato laico, valido quindi per tutti? La visione proposta dal cantautore e intellettuale Fabrizio De André può essere d’aiuto nel rispondere a questa domanda.

buonanovellaNel 1971 De André pubblica La buona novella, un disco, come ha dichiarato egli stesso, contro il potere e profondamente anarchico. Protagonista è Maria: non la Madonna del Vangelo, ma una donna tutta umana (ispirata ai Vangeli Apocrifi), che ha liberamente deciso di accettare una volontà non sua senza aver piena comprensione di quanto stava accadendo, una Madonna messa incinta da un ladro, e non dallo Spirito Santo, e che piange perché suo figlio morirà. Alla Maria di De Andrè non interessa la Risurrezione, ma soffre perché Gesù è destinato, da un disegno a detta sua ingiusto e incomprensibile, a morire giovane per una “causa più grande”, e lei non potrà più stare al suo fianco; è una donna estremamente moderna, con dubbi, incertezze, indecisioni e determinazioni. Un disco senza Dio, profondamente materialista, tutto terreno: De André non è interessato alle questioni confessionali, le trova forse superflue e inutili; è decisamente più interessato a parlare di spiritualità e umanità, due sentimenti di un’intensità tale da non necessitare interpretazioni metafisiche o trascendentali. De André non credeva nell’esistenza di Dio come entità sovrasensibile (anche se alcune sue dichiarazioni possono testimoniare il carattere quanto meno sibillino di questa affermazione), né tantomeno credeva (e su questo non vi è alcun dubbio) nell’identificazione tra divinità e Cristo: «Non intendo cantare la gloria / ne invocare la grazia o il perdono / di chi penso non fu altri che uomo / come Dio passato alla storia», (Si chiamava Gesù). Nonostante non si sia mai riconosciuto in nessuna confessione religiosa, in tutte le sue opere ha parlato spesso di spiritualità, una spiritualità soprattutto laica, che si realizza nella più profonda umanità. Con questa chiave di lettura vanno interpretate le preghiere che De André ha scritto durante tutta la sua carriera, profonde riflessioni sull’umanità, in particolare su quella più debole e indifesa (la prima canzone del suo primo album ufficiale è Preghiera in gennaio, l’ultima dell’ultimo album è Smisurata preghiera, con una circolarità notevole), che incarnano un cristianesimo laico, ottima proposta di lettura culturale della religione cristiana.

Per questo il cantautore genovese sceglie due momenti particolarmente significativi della vita di Maria come nodi tematici dei due lati del 33 giri: il lato A è dedicato alla giovinezza della Madonna, in preparazione alla “chiamata” ad essere Madre di Gesù; il lato B, invece, racconta la Passione di Cristo, tutta filtrata dallo sguardo di Maria, e ripercorre diverse delle tappe celebrate nella Settimana Santa (in particolare la Via Crucis e i riti del Venerdì Santo), dimostrando come tutto questo possa essere visto anche da un punto di vista profondamente laico; lo sguardo confessionale viene lasciato soltanto a chi crede, per cui De André nutre, tra l’altro, un grandissimo rispetto.

Un momento dei riti del Giovedì Santo

I riti della Settimana Santa (in particolare quelli del Giovedì, Venerdì e Sabato che precedono la Domenica di Pasqua, il cosiddetto Triduo Pasquale) possono quindi essere osservati anche da un punto di vista laico, per coglierne aspetti umani e spirituali utili a tutti, non soltanto a chi è credente. Citando le parole di De André, il Triduo parla di perdono («ma inumano è pur sempre l’amore / di chi rantola senza rancore / perdonando con l’ultima voce / chi lo uccide tra le braccia di una croce», Si chiamava Gesù); di dolore autentico e profondo (Maria: «non fossi stato figlio di Dio / t’avrei ancora per figlio mio», Tre madri); di amore senza misura (Tito, il ladrone perdonato da Gesù in croce, mentre parla a sua madre, che assiste alla sua agonia: «Io nel vedere quest’uomo che muore / madre, io provo dolore, / nella pietà che non cede al rancore / madre, ho imparato l’amore», Il testamento di Tito); del potere di una casta contrapposto al bisogno degli “ultimi” e dei “diversi”, che si riconoscono nel messaggio di Cristo («Il potere vestito d’umana sembianza / ormai ti considera morto abbastanza / e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni / degli umili, degli straccioni. / Ma gli occhi dei poveri piangono altrove / non sono venuti a esibire il dolore / che alla via della croce han proibito l’ingresso / a chi ti ama come sé stesso», Via della croce); di giustizia («Guardate la fine di quel Nazareno / e un ladro non muore di meno», Il testamento di Tito) e di molto altro.

Nella nostra società la dimensione rituale pare ormai andata perduta, fagocitata dal dinamismo che ci ha lasciato in eredità il Novecento: le giornate scorrono tutte uguali, periodizzate dal commercio, per cui l’anno è ritmato a gennaio dalla Befana, a febbraio dalle maschere del Carnevale (inframezzate dai cuori di San Valentino); a marzo e aprile da uova e conigli, a maggio dai fiori della festa della mamma, prima del tripudio di mare, sole e spiagge estive, che lasceranno poi posto alle maschere di Halloween e agli eccessi di icone natalizie degli ultimi mesi dell’anno.

Oggi, fermarsi a osservare la ritualità della Settimana Santa, attingendo quindi alla cultura cristiana andando oltre la mera confessionalità, per cercare di coglierne il significato più profondo (come dovrebbero fare anche i credenti, senza fermarsi alla semplice, spesso bigotta e pure abitudinaria e banale, partecipazione ai riti), può diventare un’occasione di riflessione in cui credenti e non credenti possono dialogare senza alcun problema, ponendosi un obiettivo comune: una profonda indagine della condizione umana.

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