Attualità

Ma sì, forse no!

Una lunga domenica di voto e un referendum senza quorum: questa notte vale tutto.

La campagna elettorale iniziata a maggio con i “Comitati del Sì” è stata lunghissima, è stata una battaglia senza esclusione di colpi degenerata ad un livello tale da inglobare discorsi e ambiti che con il referendum c’entravano, e c’entrano tutt’ora, poco o nulla.

Tutto è iniziato quando Renzi ha deciso di attuare l’ultima delle sue tre promesse. Prima la riforma del lavoro, poi la buona scuola e infine la riforma costituzionale. Un progetto molto ambizioso che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto, un ridimensionamento del Senato (che sarebbe passato da 315 Senatori a 100, le cui modalità di elezioni erano da demandare a legge ordinaria successiva) e l’abolizione del CNEL come baluardo della riduzione dei costi della politica.

Una domanda referendaria che chiedeva di esprimersi in favore (o in opposizione) del cambiamento di 47 articoli su 139 totali presenti nella Costituzione. Un cambiamento volto al rafforzamento dell’esecutivo, propagandato dai sostenitori come mezzo di garanzia della stabilità di governo, mentre dall’altro lato veniva indicato come una deriva in senso autoritario da parte del governo approdato alla poltrona senza passare dall’approvazione popolare.

Renzi ha quindi deciso di confrontarsi con il grande pubblico attraverso questo referendum. Il Presidente del Consiglio era così convinto di avere il consenso dalla sua parte da metterci la faccia, trasformando così il voto di riforma in voto politico. Con la possibilità delledimissioni, la battaglia del referendum si è diventata un voto popolare di fiducia al governo, fomentando in questo le opposizione a giocarsi il tutto per tutto.

Però il consenso aveva già iniziato ad incrinarsi con la vittoria a Roma e Torino del Movimento 5 Stelle. Lo scricchiolio si è fatto sempre più forte con l’estate e l’autunno. La decisione della data è stata un terno al lotto, Renzi ha aspettato per scegliere il momento migliore tenendo con il fiato sospeso tutte le fazioni politiche che nel frattempo continuavano a evangelizzare le masse sia per il Sì che per il No. Il balletto è continuato con il combinato disposto della riforma e della legge elettorale, l'”Italicum”, sul quale l’accordo tra le parti è a tutt’oggi missing.

La verità è che il discorso, con l’avvicinarsi del giorno del referendum, ha assunto delle dimensioni sproporzionate non più riassumibili in un semplice “Sì” o “No”. Un discorso che spesso e volentieri è uscito dai binari dell riforma stessa per spostarsi solo sul piano politico,  sul piano del “con me” o “contro di me”, del “futuro” contro “immobilismo”, della “modernità” contro ” il conservatorismo insensato”. Una guerra di oppositi che si risolve oggi in una risposta affermativa o negativa, ma che è stata una guerra al massacro, un derby, uno scontro di massimi sistemi, un logoramento.

Così arriviamo alla scelta di oggi e allo spoglio elettorale di questa notte, alla conclusione di un percorso lungo, troppo lungo, che forse non doveva essere nemmeno intrapreso. Stanno arivando le prime proeizioni ufficiali e noi di Inchiostro vi terremo aggiornati ogni ora riferendovi i dati ufficiali delle affluenze ai seggi, raccontandovi i fatti salienti e le dichiarazioni più importanti e infine volgendo lo sguardo altrove, ci guarderemo da fuori, dalla lente della stampa estera.

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Affluenze e exit polls: l’affluenza generale ai seggi a livello nazionale è stata del 68,44%.

Le Province in cui ha prevalso il “Sì” sono: Bolzano(/Bozen), Reggio nell’Emilia, Modena, Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena, Firenze, Prato, Pistoia, Arezzo, Siena e Pisa.

Fin qui: L’Espresso propone in un articolo tutti i vari scenari possibili dopo le dimissione di Matteo Renzi da Primo Ministro.

Ore 1.30 D’Alema prende di nuovo la parola, sulle conseguenze di questo voto lui vede nel breve periodo la scelta di un governo da parte del Presidente della Repubblica in quanto ritiene irresponsabile andare alle urne in questa confusione.Ammette anche che la legge elettrale attuale non sia lo strumento giusto per offrire all’Italia un governo stabile. Riguardo al merito della riforma, ritiene che le modifiche alla Costituzione non possono essere imposte da una maggioranza ma devono essere discusse da tutti. D’Alema ritiene che la vittoria appartenga alla maggioranza degli italiani e non a partiti o movimenti definiti. Il risultato appartiene al popolo italiano e non a delle parti politiche.

Ore 1.37 Prende la parola Renato  Brunetta con i giornalisti per dichiarare che Renzi è finito, La sua fine se l’è sancita da solo, anche se ha partecipato anche il suo partito. Brunetta si dichiara soddisfatto del fatto che finalmente “si può tornare alla democrazia”. Il risultato del referendum hpermette di non dover più fare “inciuci” come il Patto del Nazareno.

Dicono di noi: Il qutodiano di sinistra francese Libération ci va cauto nel paragonare il voto italiano al Brexit e nell’inserirlo nell’onda lunga della rinascita dei movimenti populisti europei.

Il voto all’estero: il “Sì” degli italiani ha vinto negli USA, Venezuela, Brasile, Argentina, Cile, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Pakistan, Australia, e infine in Africa il “Sì” prevale in Mali, Congo, Namibia, Sud Africa e Malawi.

Il “No” invece ha vinto in Svezia, Irlanda, Ungheria, Oman, India e Giappone.

In totale, all’estero hanno votato quasi 4 milioni di italiani in maggioranza “Sì” (64% contro il 35%).

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Affluenze e exit polls: Il voto per regioni mostra che il “Sì” per ora prevale in Toscana, Trentino Alto Adige e Emilia-Romagna. A Firenze la vittoria del “Sì” è data al 56,45% (con il 77% delle schede scrutinate), a Bologna (75% delle schede) il “Sì” è dato al 52,21%, mentre a Trento (76% delle schede) il “No” è invece al 54,92% nonostante nella Regione prevalga il “Sì”.

In tutte le altre regioni prevale il “No”.

Fin qui: Ore 00.20 Renzi riconosce la vittoria del “NO” in diretta da Palazzo Chigi.

“Chi lotta per un’idea non può perdere”

” Fare politica contro qualcuno è molto facile, fare politica per qualcosa è molto bello”

“Non sono riuscito a portarvi ala vittoria”

“L’esperienza del mio governo finisce qui”

Queste le dichiarazioni di Matteo Renzi mentre annuncia agli italiani  e al mondo le proprie dimissioni. Mentre Renzi parlava fuori da Palazzo Chigi un gruppo degli appartenenti ai Sindacati di Base hai intrapreso una piccola manifestazione con alcuni fumogeni.

Ore 00.38 Salvini prende di nuovo la parola dalla sede della Lega Nord a Milano in via Bellerio, auspica la vera dimissione di Renzi e ne approfitta per far dimostrare l’inettitudine da lui percepita del PD e del Premier.

00.50 La moglie di Beppe Grillo, Giulia, prende la parola sempre in diretta dalla Camera dei Deputati per raccontare l’emzione della vittoria ai vertici del Movimento 5 Stelle. Presenti insieme a lei Vito Crimi, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli.

Alessandro Di Battista chiede di smettere di associare il concetto di antipolitica al Movimento 5 Stelle perché, proprio quel movimento ha difeso la Repubblica, la Costituzione e i diritti fondamentali. Il partito anti-politico secondo i membri del direttorio M5S è proprio il partito di Renzi che ha provato a sovvertire l’ordine. Luigi Di Maio, invece, promette l’impegno già da domani a promuovere un futuro governo del Movimento, un governo nuovo dove non “un uomo solo al comando non esiste più”. Di Maio coinvlge anche chi ha votato sì al referendum a partecipare a questo nuovo progetto.

Ore 01.05 I giornalisti interrogano Massimo D’Alema sulle dimissioni del governo. Nel frattempo interviene anche Roberto Speranza che si dichiara soddisfatto per il risultato del referendum, frutto di uan vera espressione democratica secondo lui. Speranza accusa Renzi di aver eccessivamente personalizzato il referendum. “Sostenere lo sforzo del Presidente della Repubblica per portare l’Italia fuori dalla crisi di governo.” Questa la sostanza di Speranza.

Dicono di noi: Il New York Times mette sulla linea del populismo anti-europeista la vittoria ormai accertata del “No” al referendum. Il Washington Post, invece è più catastrofista e prevede che l’Italia sarà la prossima pedina a cadere sullo scacchiere, già nettamente indebolito, dell’Europa a 27. La testata della capitale americana vede nella vittoria del “No” un voto di rabbia dovuto all’austerità e agli levati flussi di migranti in provenienza da Nord Africa e Medio Oriente. Sulla stessa linea del voto pericoloso per la stabilità dell’Europa si pone il ramo europeo della testa americana POLITICO.

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Affluenze e exit polls: alle 23.44 con lo spoglio al 10%, il No è dato al 59.2% mentre il Sì al 40.2%

Fin qui: Anche in questa occasione le polemiche si sono fatte sentire. Oggi al centro dell’attenzione era la matita elettorale, il cantante Piero Pelù ha fatto mettere a verbale che la matita del seggio fornita dal Minsitero dell’Interno non era indeblebile come avrebbe dovuto essere. Dopo di lui sono usciti i casi simili a Vibo Valentia e Catania. Il Viminale è intervenuto assicurando che le matite, cosiddette “copiative”, sono effettivamente indelebili e sono finalizzate all’uso sulle schede elettorali, non devono essere utilizzate altrove.

In tarda mattinata, Matteo Renzi si è presentato al seggio di Pontassieve senza il proprio documento di identità dichiarando di sperare di essere riconosciuto.

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Dicono di noi: Al Jazeera è già categorica sul rifiuto degli italiani in merito alla riforma costituzionale, sulla stessa linea si piazza la principale testata francese Le Monde. In Gran Bretagna sono ancora cauti nel concedere la vittoria a “No”, secondo il Guardian e i suoi analisti, la vittoria del “No” rappresenta un voto anti-establishment in favore non solo di Grillo ma soprattutto di Matteo Salvini. Reuters invece si focalizza sugli effetti del possibile voto sui mercati internazionali.

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