L’Utopia ha le piume: “Ornicazione”, di Tra il Dito e la Luna
Un governo di civette concederebbe lo Ius Soli alle cornacchie?
Uccidere un cuculo infilatosi nel proprio nido sarebbe eccesso di legittima difesa?
Salvini chiamerebbe ladre anche le gazze?
Una serie di domande a cui lo spettacolo svoltosi la sera di domenica 3 dicembre al Teatro Domus Pacis [1] non ha dato risposta.
Per fortuna.
Non di così basse questioni trattava Ornicazione, l’ultima fatica della compagnia Tra il Dito e la Luna. Una riscrittura degli Uccelli di Aristofane, il più grande e il più scurrile comico greco dell’antichità: nei testi del quale, però, si annida una sapiente satira della sua contemporaneità e dei personaggi emblematici che la affollavano. Riattivata per lo spettacolo dalla penna di Gerardo Innarella, e animata sul palcoscenico da tutta una serie di facce che agli universitari pavesi potrebbero risultare familiari. [2]
È la storia di Pisetero, [3] ultimo e più bistrattato ingranaggio di una società massificata, incurante e rapace. Vittima del Sistema, delle sue malversazioni come dell’estremizzazione delle sue pratiche, ma anche degli ideali che a esso si oppongono. La prima parte dell’opera lo vede capro espiatorio e bersaglio prediletto di tutto il resto del cast, esibito e strutturato a emulare la forma del coro greco: con splendida costruzione di affreschi umani, grandi scene di massa dove il clamore è funzionale a una resa gracchiante della contemporaneità e alla sua irrequietezza.
Ideali distorti e arrugginiti, facili espedienti, furtarelli e abusi burocratici. Sono queste le basi putride del mondo che incombe sul protagonista; egualmente dominio di bassi sfruttatori e tediosi burocrati. Le scene della contemporaneità si susseguono come siparietti comici, ma esplicitano la tacita e spietata drammaticità di situazioni fin troppo familiari agli italiani di oggi: una quotidianità di lamentele e giornali dove nessuno fa niente.
Pisetero non ne può più. E, improvvisatosi avventuriero con l’amico Evelpide, [4] parte per il suo viaggio mistico: la ricerca di Upupa, mitologico sovrano tramutato in uccello durante la solita ed emblematica ingerenza delle divinità greche nella vita altrui. Il coro continua a frapporglisi, divenendo ora foresta insidiosa ora fiume in piena, ma non riesce a fermarlo. Il fantomatico volatile gli si mostra in tutta la sua maestosità; [5] uomo e uccello hanno un colloquio. E, qualche minaccia di morte e mutilazione 0rnito-indotta dopo, nasce un sogno utopico: una città nel cielo, alta sopra il mondo decadente degli esseri umani.
È l’inizio della seconda parte. Gli attori adesso si librano su una serie di piattaforme come su dei trespoli, liberati dalle pastoie di carta di giornale che ancorano gli uomini a terra ed elevate al cielo le loro dimore sorrette da palloncini. Tale è la scenografia, essenziale ma evocativa, e tale è la sua trasformazione, di facile realizzazione ma di grande effetto. Il coro di voci si fa sinfonia di stridii e richiami, gesticolare nervoso e beccate furtive. Gli attori fanno un ottimo lavoro nell’assumere il ruolo di volatili, dando vita a scene di massa ancora più colorate e frenetiche. Sono loro i padroni, ora, dominano loro la terra sottostante. E nel loro mondo sono ammessi soltanto i meritevoli: non c’è posto per chi vive di espedienti o sfrutta la burocrazia come un’arma.
Tutto sembra perfetto. Eppure, stare in alto fa montare la testa. Senza più la necessità di appoggiare le zampe a terra, gli abitanti del cielo rivolgono lo sguardo vacuo ancora più in su, alle divinità che sovrastano persino loro. Si trovano poi nelle condizioni di dover regolare la propria convivenza: cosa si fa senza Leggi? Che succede ai criminali in un’utopia?
I volatili cercano le loro risposte, rivelando che nemmeno un regno celeste è perfetto come si vorrebbe far credere.
Soprattutto quando a incomberti sulla testa, invece della proverbiale spada damoclea, c’è uno spiedo.
Bravissimi, ragazzi.
Un lavoro uccelso.
…
Ok, scusate, non lo faccio più.
[1] Sito in una location che probabilmente risulta «buia e piena di pericoli» (cit.) persino per i più rodati frequentatori di Nave, Cravino etc.
[2] Sono stato incoraggiato a tacere i singoli nomi: sembra l’UCIS non abbia più scorte da assegnare. In questo particolare caso, poi, a osteggiare la mozione potrebbe essere l’ente gemello e ornitomorfo dell’AVIS (no, non sto parlando di quello per la donazione del sangue).
[3] Una lei, in questo caso. Vagamente stranianti, in seguito a questa scelta, le varie battute sull’uccello (sì, quello): immancabili in un’opera sugli uccelli come in qualunque opera di Aristofane.
[4] Abitante della Magna Grecia DOP, a giudicare dalla dizione partenopea: perfettamente calzante, va detto.
[5] Sovrastato da un «Bitch please, I’m fabulous» scritto a lettere cubitali. O così almeno è nella testa dell’autore dell’articolo.