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Luca Nucera in “Lovers”: credo di un attore

C’è un Cinema indipendente che non si vede. O perlomeno che non si vede in Italia, nonostante sia stato girato a Bologna, scritto e diretto da un italiano (Matteo Vicino), interpretato da attori italiani, prodotto da Showbiz Movies e da Stefano Pucci dell’italianissima Condiriso con il sostegno della Regione Emilia Romagna.

Si parla di Lovers, terzo lungometraggio del regista bolognese che riesce a stupire per la sua qualità. E i risultati si vedono: oltre alle quarantacinque sale gremite che lo hanno accolto nei vari appuntamenti in tutta Italia negli ultimi due mesi, Lovers è stato selezionato e premiato in numerosi festival stranieri e non, fra cui il Crystal Palace International Film Festival di Londra, il Festival di Lisbona, il Fort Lauderedale International Film Festival e l’Asti Film Festival.

Nonostante questo, manca una distribuzione canonica nelle sale italiane. Perché? Sicuramente l’ambiziosa costruzione del film è anomala, difficilmente imbrigliabile in una categoria predefinita: Federico, Giulia, Dafne e Andrea si rincorrono in un girotondo schnietzleriano creando un complesso gioco di coppie. Quattro storie d’amore si susseguono senza soluzione di continuità, i protagonisti sono gli stessi ma di volta in volta sono diversi i loro ruoli, una costruzione circolare che mette in scena le meschinità che si nascondono dietro le relazioni, giocando con le maschere degli stereotipi più conosciuti in una raffigurazione che si vorrebbe spietata.

L’operazione sicuramente coraggiosa riesce solo in parte. Il meccanismo si arrovella in un ritmo frenetico che però non regge ogni passaggio, cedendo soprattutto nel blocco centrale. I temi trattati sono chiari, le storie si concatenano con estrema eleganza ma peccano di coerenza interna: le svolte anche fatali rimangono inspiegabili e inspiegate, gli stereotipi di genere e di coppia sono sì dichiarati, ma incapaci di reggere ogni potenziale carica sovversiva.

Lovers-Film

Al di là di ogni debolezza, però, rimane l’incanto di un’impresa titanica nel tessere il gioco di maschere e svelamenti che i quattro attori protagonisti sostengono egregiamente, nonostante non tutti provengano dal mondo del Cinema. Accanto a Margherita Mannino, Antonietta Bello e Primo Reggiani c’è infatti anche Luca Nucera, giovanissimo attore della compagnia stabile di Teatro Due di Parma, ormai giunto alla terza prova cinematografica.

Lo incontriamo proprio a Parma, dopo l’unica proiezione di Lovers in città, che ha registrato un tutto esaurito in sala.

Chi ti conosce come attore ha ben presente l’esuberanza incontenibile dei tuoi personaggi: da Puck in Sogno di una notte di mezza estate a Stephen l’artista in La Fila. Lovers ti vede impegnato in un lavoro completamente diverso. Come hai vissuto questo cambiamento? È stato difficile?

È stato un lavoro molto difficile, ma ne ero consapevole dalla prima volta che ho letto la sceneggiatura. Prima di tutto il film è unico nel suo genere: un film indipendente che decide di parlare di relazioni umane senza escludere le loro meschinità, ma decide di farlo con una black comedy. Se ci pensi, non è facile sentire la platea ridere durante proiezioni del genere.

E poi sicuramente il lavoro sul personaggio è completamente diverso. Il Teatro è tutto un dare, mentre nel Cinema si lavora sottraendo. Bisogna concentrare tutta l’intensità in un movimento minuscolo, in uno sguardo, e dare tutto quello che si può nel momento della ripresa. Il pubblico in teatro è presente, si crea un’empatia palpabile e senti di avere come una bolle di energia intorno al corpo, sai che la gente vedrà quella. Qui invece devi fare attenzione a ogni minimo dettaglio. Solo in questo modo puoi capire il ritmo, il battito di un personaggio e vestire i suoi panni, che è quello che un attore, che sia in teatro o al cinema, deve saper fare. Il mio lavoro è sempre stato quello di diventare trasparente, diventare come un bicchiere che lascia sempre vedere che liquido ha dentro in quel momento. Ecco: essere trasparente, diventare altro. Raccontare Luca non sarebbe per nulla interessante.

WhatsApp Image 2018-05-10 at 16.30.01Lovers ti ha richiesto di impersonare un imprenditore, un commesso, un fisioterapista e uno scrittore. Tutti quanti amanti, traditori o traditi. Come e quanto hai lavorato per raggiungere quel ritmo di cui parli?

Non è stato facile, anche perché il tempo era davvero poco: in cinque settimane abbiamo esaurito prove e riprese. Fondamentale è stato il rapporto con il regista, Matteo Vicino, che fin da subito mi ha scelto e mi ha dato fiducia, e il rapporto con gli altri attori che ha creato una squadra straordinaria. Cercare di capire ogni personaggio e interpretarne il battito, incarnarne le sfumature, non è stato facile. Con l’aiuto di Vicino, ho dovuto lavorare moltissimo per asciugare la recitazione.

1516815813219Capire il ritmo, diventare come un bicchiere trasparente: qual è quindi per te il ruolo dell’attore? Essere invisibile o metterci la faccia?

Credo che il ruolo dell’attore sia prima di tutto un ruolo sociale. L’attore è prima di tutto un comunicatore, una persona che per lavoro porta messaggi. È forse uno dei mestieri che più di tutti hanno a che fare con l’umano e per questo credo che ogni attore abbia il dovere sociale di vivere in mezzo alla gente. Il mio materiale di ricerca, ad esempio, sono i bar, le metropolitane, le piazze. Studio le persone per potermi spogliare di me ed entrare nella visione di qualcun altro, nella sua verità. Questo mestiere ti obbliga a metterti sempre in discussione: credo che parlare con tante voci diverse, guardare con tantissimi occhi sia l’unica forma di verità possibile.

Travestirsi, recitare: sembra un gioco, ma è un gioco molto serio, quasi un rito. Noi attori abbiamo il dovere di prenderci la responsabilità di ciò che trasmettiamo al pubblico. Questo, alla fine, è anche uno dei messaggi più importanti del film, che non vuole essere altro che un inno alla cultura. Nell’ultima storia si dice: tutti nasciamo da un libro. E in un mondo in cui non ci ricordiamo nemmeno i numeri di cellulare, noi attori ci ricordiamo libri interi, raccontiamo delle storie, comunichiamo. Il Teatro, il Cinema, i libri sono l’unico posto dove c’è spazio per il “se”, per il condizionale. Per questo dico che il ruolo dell’attore è un ruolo sociale e politico nel senso più ampio del termine e il nostro dovere è rendercene conto e renderci conto anche dell’urgenza di credere nelle generazioni più giovani perché tutto questo vada avanti.

In chiusura: pensi che questa esperienza abbia cambiato qualcosa nel tuo percorso? Rimarrai in teatro?

Questa esperienza è stata fondamentale per il mio percorso perché è stata vera, complessa e mi ha spinto a mettermi davvero in discussione. Penso che fare Cinema sia estremamente formativo per un attore formatosi sul palco. Ma la mia casa è il Teatro e io resto qui. A brevissimo (22-23 giugno), ad esempio, ritorno sull’arena estiva del Teatro Due con Molto rumore per nulla di Shakespeare. Quest’estate parteciperò anche al Festival Rossini di Pesaro come mimo nella farsa Adina. Ma non escludo di partecipare ad altri progetti cinematografici se ne incontrerò di validi come quello di Matteo Vicino.

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