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Lomellina, terra dei fuochi? Parte 3: Tutto fumo

Il nord brucia. Nell’inchiesta avviatasi quasi un mese fa Inchiostro ha deciso di puntare i fari su un problema che riguarda il territorio più vicino alla sua sede, il Pavese e la Lomellina, ma che abbraccia tutto il nord e più in generale il territorio nazionale. Facendo il punto della situazione fino ad ora questi sono i preoccupanti dati: 13 inceneritori nella sola Lombardia, 261 incendi in Italia in tre anni, di cui il 47,5% al nord, 12 incendi dal 2016, 1.000 nuovi tumori ogni giorno, 369.000 nuovi casi di tumore maligno nel 2017, di cui in crescita quello ai polmoni.

Dopo aver snocciolato una cifra considerevole di dati e numeri, non ci resta che capire qual è stata fino ad ora la reazione delle autorità competenti e degli enti locali alla bollente questione.

LaCommissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati presieduta dall’On. Braga nella sua relazione su ‘Il fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti’ del 17 Gennaio 2018  rileva nelle valutazioni finali alcuni punti critici: la fragilità degli impianti, non dotati di sistemi adeguati di sorveglianza e controllo, il sovraccarico degli impianti, la disomogeneità della risposta giudiziaria e investigativa avvallata da una consistente ‘cifra oscura’ di incendi che non vengono segnalati alla procura della Repubblica e sui quali non si svolgono successivamente indagini ed infine la mancanza di coordinamento tra le varie forze volte alla tutela e protezione dell’ambiente e della legalità.

Quanto e cosa hanno fatto le autorità dopo gli accadimenti? Sono intervenuti con misure cautelazionali per prevenire rischi ambientali e salutari? Come si sono posti nei confronti dei cittadini, si rischia l’allarmismo o tutto tace?

Riferendosi all’ultimo incendio del 6 Settembre 2017 a Mortara nella ditta Eredi Bertè, Alda La Rosa, Pres. dell’associazione Futuro sostenibile in Lomellina afferma che «l’area Bertè con 12 mila metri cubi di rifiuti bruciati lasciati in balia delle intemperie e dei cambiamenti di stagione non è un’area sicura – e si chiede – quali e quanti controlli delle acque di dilavamento vengono fatti? Quali sono i controlli odorigeni? Questi sono controlli che è possibile fare senza entrare nell’area sequestrata».  L’associazione si è più volte rivolta all’attuale sindaco Facchinotti e al precedente Robecchi richiedendo la costituzione di una commissione consiliare ambientale, richiesta che ad oggi risulta non essere stata presa in considerazione; ma tante altre sono le proposte fatte e non ancora accolte. Come ricorda la Presidente La Rosa: «Futuro sostenibile aveva chiesto non solo la copertura del materiale combusto, ma anche, per evitare che l’acqua finisse nei tombini, di inserire valvole di chiusura o palloncini speciali – a valle della fognatura presso la ditta in modo da impedire il suo fluire nel depuratore e far sì che l’acqua inquinata, aspirata da autocisterne, potesse essere così analizzata». Nemmeno quest’ultima istanza sembra aver avuto un riscontro positivo. E’ utile rilevare dunque che non ci sono abbastanza analisi; del resto dopo gli incendi non sono stati effettuati analisi sul suolo. La ‘Legge sugli Ecoreati’ difetta di una sezione relativa al suolo e dunque diventa difficile inquadrare la situazione che, nel caso di roghi tossici, andrebbe tenuta sotto stretta sorveglianza a causa delle particelle volatili che depositandosi riescono ad infiltrarsi nelle falde acquifere. Quello che preoccupa è che non ci siano organi capaci di andare a fondo alle questioni; i fatti e i danni sono presenti ma i procedimenti penali nel 49% dei casi sono a carico di ignoti, evidenza contrastante con il dolo nel 20% dei casi analizzati dalla commissione parlamentare.

Come è già stato ipotizzato più volte, le statistiche sui roghi fanno presumere la mano della criminalità organizzata; l’onorevole Mannino riporta le parole del procuratore antimafia Roberto Pennisi:  «la criminalità organizzata ha capito che il grosso guadagno nel settore dei rifiuti sta nell’accumularli e non toccarli, ossia nell’aggiudicarsi gli appalti per la gestione della maggior quantità di scorie possibile e poi stoccarli da qualche parte senza smaltirli.» In buona sostanza le ecomafie puntano a provocare l’emergenza per poi ottenere le autorizzazioni straordinarie per smaltire i rifiuti a basso costo. Il bug che impedisce che questi vengano intercettati sta tutto nel modo di operare degli organi investigativi. Ogni volta che scoppia un incendio la Digos o una procura si attiva per aprire le indagini, poi ogni organo investigativo agisce per conto proprio, non c’è coordinamento e tanto meno un database in cui far confluire tutte le informazioni raccolte, che puntualmente corrono il rischio di finire nel nulla. Questa mancanza facilmente recuperabile diventa una voragine se messa a confronto con la varietà e l’estensione dei roghi nei vari territori.

Tutto fumo, che respiriamo. Quanto ancora bisogna aspettare perché ci sia un vero e proprio interesse condiviso nel rispetto del nostro ecosistema e, ancor prima, della nostra salute e delle norme? Il rischio delle infiltrazioni malavitose e la negligenza degli organismi dirigenziali è uno sporco costume che non possiamo permetterci di far indossare a questa terra, perché il risparmio di oggi è il costo della nostra pelle domani. Si tratta della buccia di banana che può far scivolare il sistema di smaltimento nei più astrusi meccanismi già visti per altre zone d’Italia, bisogna fare uno sforzo, differenziamo la buccia, nell’umido.

 Il nord brucia e a giocare con il fuoco, stavolta, rischiamo di scottarci.

Annamaria Nuzzolese

Nata ad Altamura. Studentessa di Giurisprudenza all'Università di Pavia. Caporedattrice dal 2019, redattrice dal 2017, ambito d'interesse: geopolitica e attualità.

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