L’occhio di Matt Groening: tra corrosive ironie e briciole di umanità
[…] because the irony, entertaining as it is, serves an exclusively negative function. It’s critical and destructive.
David Foster Wallace, E omnibus pluram and U.S. fiction, 1993
Il fenomeno è complesso. Potrebbe suonare riduttivo se considerassimo I Simpson come un pamphlet politico. Non ci vogliamo soffermare su questioni come: “Quale partito Matt Groening vota?” o “Quali sono le tendenze elettorali di Springfield” e via dicendo. Ciò che qui interessa davvero è provare a leggere ‘l’occhio’ del produttore di Portland (classe ’54). In principio la discussione vuole trattare l’opera come un prodotto culturale (pop), e quindi come un testo: un testo immerso nella Storia. Il primo episodio viene trasmesso in U.S. dalla FOX COMPANY nel dicembre del 1989, il che significa: 1) nella fase fetale della rivoluzione digitale 2) in piena crescita economica segnata da un capitalismo sempre più libero e anomico, 3) da un ruolo predominante dell’industria (e allora della cultura) dell’entertainment, che in questo periodo ha partorito un numero esponenziale di “miti a bassa intensità” (Ortoleva, 2019). E infine non si può tralasciare la diffusione – e il congiunto perfezionamento – dell’animazione nelle arti (tele)visive, per mezzo della quale lo spettatore si sente maggiormente coinvolto grazie ad una fluidità maggiore delle azioni dei personaggi. I Simpson si situano in questo scenario. La serie prende in prestito le cose-del-mondo ad essa attuale (politica, fumetti, GRATTACHECCA E FICHETTO, Kent Brockman, baseball, la Chiesa, DUFF BEER, e via discorrendo) e così facendo ci dona una felice riflessione sull’ambiente sociale statunitense e sul ruolo (dominante) della cultura occidentale. Il realismo de I Simpson risiede proprio nel loro essere, sempre e comunque, così visceralmente legati ad un paesaggio ‘storico‘: quello del Middle American di fine XX secolo e inizio ventunesimo. La serie è un oceano di riferimenti e connessioni all’ “ambiente U.S.A.”. Nulla è inventato, semmai è interpretato. Il nostro ometto dell’Oregon ci regala quotidianamente, e ormai da molti anni, ’20 minuti di reale’. La voce di Matt è come se ci dicesse: “Hey, guarda fuori. Le cose vanno davvero come le vedi su questo schermo!”. Non vi sono compromessi. Il paesaggio, o il reale che Groening ci dipinge, è nudo: gettato come un pezzo di carne sul tavolo.

Supporta questo pensiero il quinto episodio Sideshow Bob Roberts (trad: Telespalla Bob Roberts). É ambientato in un grottesco castello in cui è in corso una losca riunione tra esponenti del partito repubblicano per manipolare i voti e vincere le imminenti elezioni. Tra i partecipanti riconosciamo il volto di Mr. Burns, Julius Hibbert, Telespalla Bob e un alieno con le orecchie da elfo dall’aspetto inquietante. Dopo la pennellata che traccia le personalità sinistre dei Conservatori di Springfield, a metà episodio succede che Smiters dichiara la propria omosessualità così segnando, e alludendo all’irrealizzabile coesistenza tra gay e repubblicani (J. Alberti, 2004).
Matt non risparmia neanche i Democratici. L’amato sindaco Quimby, un liberale, è disegnato come un fumatore di spinelli, un giocatore di carte, un affarista con la Mafia, un festaiolo i cui festini si chiudono puntualmente in “one-night cheap hotels” (T.S Eliot, The Love Song of J.Alfred Prufrock) …e non discutendo di “Michelangelo” (ivi). Parla da sé la sigla “Corruptus in extremis” nel suo ufficio.

Ancora più calzante è l’episodio Much Apu about Nothing in cui viene trattato il delicato tema dell’immigrazione clandestina negli U.S. Nella puntata Apu, il proprietario indiano del JET MARKET di Springfield, deve recarsi all’ufficio anagrafe per svolgere l’esame sulla storia del paese; unico modo per ottenere la cittadinanza americana. Il tal mattino si trova in mezzo ad una banda di rivoltosi inferociti ed impauriti. Tra loro riconosciamo il buon cristiano Ned Flanders, quel puritano del Preside Skinner e l’irriverente uomo dei fumetti, Jeff. Verso la fine della vicenda, Lisa conversando con Apu e suo padre accenna agli indiani d’America. I due non colgono il riferimento. Da qui si può dedurre il nazionale misconoscimento riguardo ai Nativi Americani e, non meno rilevante, la palpabile cecità intellettuale degli abitanti di Springfield: a nudo la loro coscienza violenta (i rivoltosi), ottusa e apparentemente ingenua (Homer ed Apu). Insieme a queste fegatose descrizioni, quasi isteriche, su un reale così (dal produttore) interpretato, giacciono accanto ad esse tante altre scene meno cerebrali, più interne. Per così dire più umane. Matt Groening considera l’ultimo episodio che abbiamo trattato (Much Apu about Nothing) il suo preferito, forse perché Homer, Americano-medio-provinciale pour excellence, decide di sua volontà di aiutare l’amico Apu a superare quel dannato test. Il motto della città peggiore d’America: “A noble spirit embiggens the smallest man” (trad: Uno spirito nobile eleva l’uomo più misero) trova proprio in questo spezzone la sua raison d’être. É bello anche aggiungere che durante l’episodio Sideshow Bob Roberts, Bart e Lisa voglio scoprire chi ha corrotto le elezioni e detronizzare Telespalla Bob. Per quanto attiene a Lisa nulla ci sorprende e in verità neanche per quanto riguarda Bart, poiché è sempre ‘il solito Bart’ contro le establishments. Proprio qui però emerge quel che ci interessa. In disaccordo con quanto sostiene Chris Turner (2004), la figura di Bart non è nichilista; il ragazzo partecipa alle questioni sociali, grandi o piccole che siano. É partecipe al mondo con lo stesso impeto di Holden Caulfield o Tom Sawyer, difatti è un adolescente: mette in discussione, cerca e qualche volta crea nuovi significati esponendosi al mondo. Bart allora è un personaggio della Conoscenza poiché quel che desidera più di tutto è trovare un senso alla sua esistenza ed il passionale desiderio che coltiva – di cui non sempre è consapevole – gli indica continuamente che un frammento di significato, da qualche parte, esiste. Lo scopo di Bart è (voler) vedere, (voler) conoscere. E in questo paesaggio si concentra tutta l’intensità del personaggio, la sua umana profondità.
Vicino alle due facce del realismo si accosta alla nota serie ‘Nostra Signora Ironia‘. Tutto ne I Simpsons è canzonato: è l’America che deride se stessa. Tempo addietro in un episodio Kent Brockman disse: “I’ve said before and I’ll say again, Democracy simply doesn’t work” (trad: L’ho già già detto prima e lo dico di nuovo, la democrazia semplicemente non funziona). Il commento del giornalista è stato pronunciato in seguito alla riunione tra esponenti del governo U.S. per salvare Springfield dalla cometa gigante che ne provocherà la distruzione. É evidente che la frase è sarcastica e caustica allo stesso tempo: è l’immagine del figlio – il Giornalismo – che rinnega la sua genitrice, Democrazia. Nella stessa puntata la prima pagina del quotidiano di Springfield, Springfield Shopper, apre il giorno così: “SCHOOL IS FOR LOSERS”.

Tutto ciò produce nello spettatore-lettore un senso di disorientamento e impotenza: questo è il potere desacralizzante dell’ironia (D.F. Wallace, 1993). I Simpsons sono la commedia dell’ironia dove satira, parodia, esagerazioni e assurdo si mescolano e permettono alla commedia di diventare il deus ex machina che causa e risolve tutti i problemi all’interno degli intrecci narrativi. La sitcom acquista così i caratteri dell’autoreferenzialità, dell’autocritica, dove niente è preso sul serio: il tutto svanisce e si dimentica in una febbrile risata. L’ironia alimenta se stessa; Irony for Irony’s Sake, non possiede qualità salvifiche o formative anzi esclude qualsiasi tipo di insegnamento, scredita la coesione sociale, disorienta lo spettatore e finisce con l’essere corrosiva e irrimediabilmente cinica. Per questa ragione è politicamente (in senso lato) pericolosa.