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Lo strano prologo di “Quarto potere” (1941), di Orson Welles

L’incipit di Citizen Kane (“Quarto potere” nella versione italiana), quello “strano prologo con la sua atmosfera da sogno, è una delle sequenze più famose e studiate nella Storia del Cinema, ma la sua singolarità appare evidente già ad uno spettatore inesperto: con la sua atmosfera lunare, chiaroscurale e inquietante farà da sfondo nella memoria del pubblico nel corso di tutta la visione. Orson Welles sceglie di presentarci quel rompicapo che è la vita di Charles Foster Kane solo dopo averci mostno trespassingrato la sua morte.

Non è da dimenticare poi che il film si apre come si chiude, forse a suggerire che quello che aveva l’apparenza di un prologo abbia in realtà la funzione di avvolgere ad anello l’intera narrazione. La scena si apre sulla scritta “No trespassing”, affissa alla rete metallica che circonda l’enorme palazzo di Xanadu (o Candalù nella versione italiana), ultima dimora di Kane; ed è precisamente questo cartello che chiuderà la narrazione. Il significato di questa scelta è facilmente intuibile: nel corso delle sue interviste il giornalista Thompson ha cercato di ricostruire il mistero dell’esistenza dell’illustre cittadino Kane, ma ha ottenuto solo frammenti, spesso contraddittori o comunque difficilmente decifrabili e riducibili ad un profilo coerente e completo; la vita di un uomo, sembra allora suggerire il cartello all’entrata della magione-mausoleo che si è costruito, deve e può solo restare privata. Ma in Citizen Kane è quanto mai difficile trovare delle interpretazioni univoche, ed è lo stesso Welles ad asserire che “In teoria quella dovrebbe essere la risposta, ma in fin dei conti forse è così e forse no..

Quale che sia la risposta, la macchina da presa oltrepassa il reticolato per introdurci ad una serie di dissolvenze incrociate di altri cancelli e steccati oltre i quali l’occhio del Cinema può inoltrarsi fino ad immortalare con una ripresa dal basso l’ultimo cancello decorato dalla svettante lettera K. Sullo sfondo, in alto a destra possiamo finCitizen-Kane-mirror-shot.jpg.CROP.promovar-mediumlargealmente osservare  la sagoma del castello, nella quale è incastonata la luce di una finestra. Il quadro così composto sembra rendere uno spazio coerente nel quale lo spettatore può orientarsi con sicurezza, ma è così solo in apparenza: quella finestra illuminata, sarà l’unico punto fermo delle successive dissolvenze incrociate, le quali hanno l’intento di avvicinarci progressivamente al castello mostrandoci intanto, in basso a sinistra, una serie di animali e oggetti che costellano il parco, un panorama desolato e in rovina che è il  risultato della smania di avere e di accumulare. Cosa più importante, queste dissolvenze ottengono l’effetto di disorientare lo spettatore che si trova ad affrontare uno spazio prospettico vasto, perfettamente a fuoco, ma anche cangiante e confusivo. Egli sarebbe portato a pensare che “se la luce nel castello è sempre allo stesso posto, allora anche il resto dell’inquadratura dovrebbe essere sempre uguale”, ma così non è. Ci troviamo di fronte ad un nuovo modo di percepire e rappresentare lo spazio, una modalità che esige uno spettatore nuovo, un attivo interprete di ciò che gli si presenta e non un mero osservatore. In definitiva, chi guarda deve scegliere dove guardare, almeno fino a quando l’inquadratura non si chiude sul profilo gotico della finestra illuminata. Ed ecco che la luce che ci ha guidati fin qui si spegne, per riaccendersi giusto un attimo dopo. Anche a questo proposito non c’è una sola spiegazione al cambio improvviso; lo spettatore può solo intuire che qualcosa è successo o sta succedendo all’interno. Per essere più precisi è proprio tale buio ad introdurre un’altra dissolvenza che ci porta nella stessa posizione, dal momento che il profilo della finestra è mantenuto identico, ma nell’interno ora illuminato. Cosa è successo nel mentre? La luce è stata riaccesa o ci troviamo in un momento diverso e persino precedente? Ci vengono allora in soccorso le parole del regista: “L’idea era che Kane muore quando si spegne la luce, e poi torni indietro di qualche minuto e lo vedi di nuovo vivo, se proprio vuoi una ragione. L’altra ragione, meno importante, è tenere l’attenzione del pubblico. E sono valide tutte e due.”   

MBDCIKA EC019 Il dato essenziale è che ora la macchina da presa mostra dall’interno il profilo del letto di Kane e che lo spettatore è portato a pensarlo come un letto di morte, dal momento che ogni inquadratura non ha fatto che delineare un’atmosfera lugubre e mortifera. Ma proprio quando si pensa di aver ricomposto il senso ultimo della sequenza, una dissolvenza ci porta all’interno di una palla di neve che contiene una casetta; grazie ad un allargamento rapido dell’inquadratura capiamo che si tratta dell’ultimo oggetto rimasto nelle mani del moribondo. Con uno stacco compare sullo schermo il particolare delle labbra di Kane che pronunciano l’ultima parola (“Rosebud” nell’originale, “Rosabella” nella versione italiana), il segreto che potrebbe svelarci lo spirito profondo del personaggio, ma più probabilmente solo un frammento della sua personalità. Dopo quest’ultimo sforzo la mano, ora in primo piano, molla la presa e lascia che la palla di neve rotoli lontano, ma sempre perfettamente a fuoco, e si infranga. Dalla porta, ripresa dall’originale punto di vista del riflesso di un frammento di vetro, entra quindi l’infermiera per ricomporre il corpo, quel corpo che vedremo poi come una sagoma scura nella luce lunare della finestra nell’ultima dissolvenza ad aprire della sequenza.
citizen kane sequenzaCitizen Kane è considerato all’unanimità uno dei film più importanti della Storia del Cinema proprio per il suo apporto innovativo dal punto di vista sia formale, sia narrativo: l’uso della colonna sonora, le prospettive profonde e nitidissime, dove l’interazione fra i piani delle immagini crea nuovi contesti simbolici, le riprese dal basso di personaggi svettanti ma schiacciati e intrappolati negli spazi chiusi, la narrazione discontinua di un’ investigazione inconcludente e anomala per i canoni dell’epoca sono tutti strumenti per raccontare in modo originale ed efficace la vita sfaccettata e complessa di un personaggio che è insieme potente e sconfitto.  

Kane-CeilingAlla luce di ciò è quindi perfettamente coerente far seguire a questa miserevole morte solitaria un secondo straniante incipit dove la vita di Kane è raccontata per sommi capi dalla perfetta e squillante riproduzione di un cinegiornale dell’epoca, che raggiunge, per stessa ammissione di Welles, i toni della parodia. In definitiva il prologo è tanto più straordinario perché ci presenta queste novità, le introduce in modo deciso e sfrutta lo stile come veicolo attivo del senso del film e di conseguenza inscrive Orson Welles tra i grandi autori dell’arte cinematografica dove la creazione filmica e la rappresentazione non possono mai essere neutrali. Nel caso specifico tutte le caratteristiche formali sopra descritte esprimono in nuce il senso di ambiguità e ambivalenza che si prova alla fine della visione, oltre a dimostrare il grande potere del cinema: solo lo spettatore può vedere la morte di Kane, ed egli  è l’unico a poter scoprire il significato di quel “Rosabella”; ma il Cinema è anche un mezzo per deformare la realtà, per giocare con gli spazi e con i tempi della narrazione. In definitiva, chi guarda deve sempre chiedersi fino a che punto possa fidarsi di ciò che vede.

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