Sport

Lo sport in America e il razzismo italiano

IN UNA GALASSIA LONTANO, qualche anno fa, un ragazzotto di colore, cresciuto a Chicago, ma che oggi tutti oltremanica chiamano “presidente”, è riuscito nell’impensabile. Barack Obama è il primo presidente afro-americano nella storia degli Stati Uniti d’America, il primo paese al mondo, per molte cose…

Becky Hammon & Gregg Popovich

LA STATUA DI MJ. Una di queste è sicuramente lo sport. Proprio nella capitale dell’Illinois, fuori dallo United Center, l’arena dove si esibiscono oggi Blackhaws e Bulls, si erge la statua di uno dei giocatori più famosi di sempre, quello per cui il presidente Obama da bambino faceva il tifo: Michael Jeffrey Jordan. Considerato da molti il più grande sportivo di tutti i tempi, fu anche uno dei tanti ragazzini di colore, cresciuti nel North Carolina (uno degli stati fondatori della Confederazione), che da piccolo, sull’autobus, dopo uno sputo, si è sentito dire: “Alzati negro, quello è il mio posto!”. True story.

MAGIC. 7 novembre 1992: Earvin Johnson, più conosciuto come Magic, dichiara al mondo di essere sieropositivo. A quel tempo significava dire che uno dei principali sportivi sul pianeta, al 100%, avrebbe contratto l’Aids (con tutto quello che comportava all’interno della società essere infetto). Magic non si nascose dietro a nulla; anzi, portò il grado di consapevolezza collettivo riguardo la malattia ad un livello che fino a quel momento nessuno si sarebbe mai aspettato. Tanto che a noi, oggi, le parole di Johnson, quel giorno in conferenza stampa, sembrano profetiche: “Questo non mi impedirà di vivere, anzi, ho un progetto di lunga esistenza”. Così fece, pose il genere umano sul palmo della propria mano, come quando giocava a Los Angeles nel ruolo di playmaker, insegnando al mondo la differenza tra un virus e la stregoneria. Semplicemente, Magic.

Michael Jordan & Magic Johnson

DAL MONDO AL TEXAS. I San Antonio Spurs, gli ultimi vincitori della NBA, sono la franchigia che più ha trionfato negli ultimi diciassette anni nei quattro maggiori sport americani. Tim Duncan e Gregg Popovich hanno costruito prima che una squadra, una cultura vincente. Australiani, brasiliani, argentini, francesi e italiani sono arrivati nel Texas, alla corte del coach che cresciuto nell’Indiana (terra multiculturale e crocevia degli States) ha osservato e compreso come un insieme di persone e culture diverse possano cooperare e collaborare per raggiungere un unico obbiettivo: giocare insieme e vincere. Da quest’anno, per ripetersi nuovamente, sempre per volere di Pop, gli Spurs hanno assunto la prima collaboratrice donna nella storia della lega (e non solo): Rebecca, della Becky, Hammond. That’s Spurs culture.

LO SPORT E L’ITALIA. Mentre il tempo passa inesorabile, tra gli anni ottanta di Magic, i novanta di Jordan e il nuovo millennio targato San Antonio, l’Italia resta ferma, tra dibattiti che infuriano nei talk e parole buttate sui giornali. Mentre il presidente della Lega Calcio parla di “mangia-banane” e viene difeso dal suo vice, Lotito, perchè “ha anche adottato tre così”; oppure mentre il neo-presidente dell’Inter, l’ultima squadra della penisola a forma di stivale ad aver vinto la coppa europea più ambita, querela un altro neo-presidente, il sampdoriano Ferrero, per averlo definito “il filippino” in maniera razzista.

COME GLI ANTICHI ROMANI: anacronistici, beandoci di quanto fosse aurea la nostra storia (sportiva e non) e lamentandoci delle nostre poche risorse economiche. Immobili, in un mondo in continua evoluzione, quasi fossimo primitivi con in mano un tablet e le nostre vergogne fossero coperte solamente dalla nostra antica toga purpurea, quella con la quale è noto che gli antichi Romani si pulissero il culo, prima di entrare nell’arena ad assistere a qualche spettacolo indegno. Invece oggi, italiani, vestiti di nero allo stadio, ad abbaiare contro quelli che loro considerano animali. Fratelli d’Italia, prendiamoci sul serio, è solo sport!

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