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Lo scandalo di Telegram: tra riproduzione dell’identità maschile e tabù violati.

Negli ultimi giorni è scoppiato lo scandalo, già in passato denunciato dalla prima inchiesta di Wired, del mercato pedopornografico che ha luogo su alcune chat di Telegram. In circa due mesi il gruppo più utilizzato ha raggiunto i 43 mila utenti: tutti possono accedervi se invitati da un membro. L’utenza è varia, composta principalmente da uomini: adolescenti, adulti, single, padri di famiglia. Varie sono anche le motivazioni che spingono questi uomini ad accedere a queste chat: revenge porn, pedopornografia, immagini di stupri, informazioni su come compiere una violenza sessuale, compravendita di video e immagini private senza il consenso della vittima. Un messaggio fissato in alto nella schermata riporta una chat di backup in caso quella principale venisse chiusa da Telegram. La maggior parte degli utenti utilizza degli account anonimi, con nickname non riconducibili a nessuna identità reale grazie alle conversazioni criptate end-to-end di cui fa uso il servizio di messaggistica russo.

Per Revenge Porn si intende la pubblicazione online di video o di foto intime senza il consenso dei soggetti ritratti. L’Italia si è dotata l’anno scorso di una legge per prevenire e perseguire questo reato (legge 19 Luglio 2019, n. 69) ma è necessario un progresso non solo giuridico ma anche morale per combattere questo fenomeno. Queste chat di Telegram si prestano come supporto ed amplificatore dell’effetto del Revenge Porn. Spesso il partner in cerca di vendetta, nella quasi totalità dei casi l’uomo, non solo pubblica immagini della ex, ma anche dati personali e numeri di telefono. Poi, chiede al branco di dare vita a quello che viene definito shit-storming: gli utenti del gruppo sono quindi invitati a scrivere insulti alla vittima, denigrarla, inviarle foto, renderla consapevole che la sua privacy è stata violata per sempre. Come spiega Silvia Semenzin, sociologa dell’Università di Milano e promotrice della campagna italiana contro il Revenge Porn, condividendo dati personali si alimenta anche lo stalking contro la stessa donna che si vede inondata di messaggi d’odio e sessisti, bersagliata da uomini sconosciuti che hanno come unico scopo distruggere la sua autostima e la sua privacy. Jordan Fairbairn, sociologa canadese, in un suo articolo sulla violenza contro le donne nell’era digitale, scrive che la violenza contro le donne non può essere considerata come una costante universale, un aspetto inevitabile dell’esistenza femminile, ma piuttosto l’espressione di un male socialmente definito risultante dall’abuso di potere e da relazioni di dominio. Si può dunque sperare in un cambiamento ma per farlo è necessario tentare di comprendere meglio le cause del fenomeno.

André Masson, La metamorfosi degli amanti

La domanda che ci si può porre è: quando la vendetta a cui mira un uomo che si macchia di Revenge Porn viene da lui considerata soddisfacente? Albert Camus, scrittore esistenzialista, nel romanzo “La Peste”, scrive: “Il gran desiderio d’un cuore inquieto è di possedere interminabilmente la creatura che ama, o di poterla immergere, quando sia venuto il tempo dell’assenza, in un sonno senza sogni che non possa aver termine che col giorno del ricongiungimento.”

Quest’uomo quando viene lasciato dalla sua fidanzata si trova a confrontarsi con il proprio dolore causato da un soggetto che molto probabilmente considerava come una proprietà. Forse ha pure dovuto mettere in discussione la propria mascolinità: che uomo permette ad una donna di farlo soffrire? Così egli si trova nella condizione di dover necessariamente riaffermare la propria identità di maschio, ma non può farlo da solo, e si rivolge al gruppo nel quale egli si rispecchia. Ogni messaggio, ogni foto, ogni commento in queste chat riproducono l’immagine dell’uomo dominante, l’ideale del machismo, e ogni utente rinforza la propria identità nei rituali collettivi che vengono celebrati nel gruppo. L’esaltazione dello stupro, la masturbazione come atto di potere e rivendicazione di possesso, la costante denigrazione della donna. Queste chat non sono altro che luoghi virtuali di esaltazione e riproduzione del discorso machista e fallocentrico tipico delle nostre società patriarcali. Sono realtà abominevoli, drammatiche, estreme e deviate ma hanno radici nella rappresentazione dicotomica e nella lettura moralista che la nostra società impone alla sfera sessuale, erotica e sentimentale.

La nostra società rafforza un’idea che Simone de Beauvoir, scrittrice femminista francese dello scorso secolo, puntualizza così: “Nessun uomo acconsentirebbe ad essere una donna, ma tutti si rallegrano che vi siano delle donne. <<Ringraziamo Dio che ha creato la donna.>> <<La Natura è buona perché ha donato all’uomo la donna>> In tali frasi e in altre analoghe, l’uomo afferma una volta di più con arrogante candore che la sua presenza in questo mondo è un fatto ineluttabile e un diritto, quella della donna nient’altro che un caso; ma un caso fortunato.” Si può concludere che quest’ uomo si ritiene soddisfatto quando ha imposto, attraverso l’azione del gruppo, il proprio dominio sulla vita di chi ha tentato di sottrarsi a lui, e quindi quando la sua identità è di nuovo salda.

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Oltre agli uomini che cercano vendetta, all’interno della chat partecipano individui che qui trovano soddisfazione alle proprie fantasie sessuali, le quali non possono essere realizzate nella realtà. Particolarmente ambite sono le immagini erotiche di minori o video di stupri: rappresentazioni di ciò che un uomo non può compiere senza essere perseguitato dalla giustizia. Questi uomini stanno infrangendo alcuni dei tabù fondamentali della società e ne sono consapevoli, come sono consapevoli delle possibili conseguenze. Ciononostante, alcuni utenti non accettano quest’imposizione esterna che impedisce loro di raggiungere il proprio oggetto di desiderio e, per questo, condannano il sistema morale che aborrisce gli abusi su minore o la violenza sessuale, considerandolo debole, flaccido, non corrispondente all’ideale dell’uomo dominante. L’uomo non può vedere soddisfatto il proprio bisogno sessuale a causa di una decisione esterna. Subisce una castrazione simbolica e conseguentemente ricerca nel gruppo la legittimazione dei propri impulsi, la conferma che non è lui ad essere sbagliato ma la società che gli impedisce di essere un “vero uomo”.

Mary Douglas, antropologa dello scorso secolo, sostiene che i tabù siano fondamentali per la sopravvivenza delle società e per far sì che sia più facile per gli uomini interpretare la realtà: i tabù ci dicono cosa è sbagliato, a priori, in qualsiasi contesto, senza eccezioni. In qualche modo la nostra società si poggia su dei divieti assoluti che non necessitano di una spiegazione: sono sbagliati in sé. Tuttavia, sapere che esistono fenomeni disdicevoli come l’abuso di minore o il revenge porn fa dubitare del fatto che credere nella legittimità di tali tabù basti perché essi vengano rispettati.  I tabù non sono al di fuori della società e della cultura ma ne sono alla base, dunque sono anch’essi culturalmente e socialmente costruiti, come sostiene Bronislaw Malinowski, antropologo del primo Novecento. Si può rafforzare la legittimità del tabù proprio agendo all’interno del piano sociale e culturale rendendolo non un’imposizione esterna (la legge che commina una pena) ma una decisione libera dell’individuo. Come si è detto precedentemente, una delle possibili interpretazioni di questi tipi di violenza è che, nel momento in cui un individuo vede la propria identità di uomo vacillare, ricerchi nel proprio gruppo di appartenenza una conferma. L’identità di uomo viene riaffermata costantemente.

Se la società non imponesse agli individui delle identità di genere così granitiche, forse, verrebbe anche meno la necessità di dover riconfermare il proprio io in un gruppo. Con questo non si vuole dare colpa alla società per comportamenti immorali degli individui ma sicuramente una soluzione si può intravedere solo in un progresso sociale. Julie Lalonde, avvocata e attivista canadese, sostiene che credere che quello che succede online non sia il risultato dell’offline sia estremamente ingenuo. L’abbandono di una tendenza all’etichettamento potrebbe liberare gli uomini dall’opprimente bisogno di dimostrare agli altri e a se stessi il proprio ruolo nella società?

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