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Let the Right One In – Cronache del ghiaccio e del sangue

Il bianco della neve e il rosso del sangue. Sono questi i due colori dominanti di Let the right one in (tradotto in italiano come “Lasciami entrare”), il vero blockbuster della stagione teatrale dell’Abbey Theatre di Dublino. Basata sull’ononimo romanzo dello scrittore svedese John Ajvide Lindqvist e adattata per il teatro da Jack Thorne, questa produzione diretta da John Tiffany con un cast interamente irlandese porta in scena uno dei racconti horror più acclamati degli ultimi anni (adattato anche al cinema prima da Tomas Alfredson con sceneggiatura dello stesso Lindqvist e poi da Matt Reeves in un pregevole remake americano), ambientato durante un gelido inverno nella Svezia degli anni ottanta.

Let 2Il simpatico protagonista, Oskar (Craig Connolly), è un timido dodicenne che dopo il divorzio dei suoi genitori vive con una madre alcolizzata a dir poco possessiva nei suoi confronti (Ruth McGill), mentre a scuola viene isolato e preso di mira da un gruppetto di prepotenti. Nel frattempo la cittadina in cui vive viene terrorizzata da alcuni misteriosi ed efferati omicidi. Del resto “We live in dangerous times”, come annuncia la voce dello sceriffo ancora prima dell’inizio dello spettacolo agli spettatori che stanno prendendo posto. Una notte infatti Oskar incontra Eli (Katie Honan), una misteriosa e pallida ragazzina che si è appena trasferita nella casa accanto alla sua. Come presto capirà però Eli non è una ragazzina come le altre: è un vampiro immortale che si nutre del sangue di quei malcapitati che di notte hanno la sfortuna di imbattersi nel bosco nel vecchio Hakan (Nick Dunning), l’inquietante uomo che vive con Eli e che le procura il nutrimento necessario per vivere. Tra equivoci surreali e momenti di paura, il tenero rapporto che si instaura tra i due ragazzini, a loro modo due emarginati, potrà forse cambiare la loro esistenza per sempre.

Let 5A metà tra una fiaba Disney firmata Tim Burton e un terrificante racconto gotico, e dunque più che mai adatto ad una location suggestiva come lo storico Abbey Theatre, lo spettacolo di Tiffany sa prendersi il suo tempo per raccontare e aggiornare una storia probabilmente ormai nota a una buona fetta di pubblico, ma che non manca di sorprendere alternando sapientemente i generi, passando rapidamente dalla commedia teen alla crime story all’incubo grandguignolesco. Il cuore della storia è costituito dai divertenti e brillanti dialoghi tra i due protagonisti, ognuno spinto dal desiderio di capire l’altro e, probabilmente, di capire meglio sé stesso. La perdita dell’innocenza, la sessualità adolescenziale e i grandi sacrifici che ognuno è disposto a fare in nome dell’amore sono tutti temi trattati con la necessaria delicatezza, seppur con un’ironia a tratti un po’ troppo invasiva che forse toglie qualcosa ai momenti più drammatici della storia (nel romanzo e nelle versioni cinematografiche l’umorismo è praticamente assente). Menzione speciale per Katie Honan, bravissima a modulare la sua voce in direzione di una cantilena dolce ma allo stesso tempo innaturale, quasi spettrale. Eccezionale invece l’apparato tecnico. L’atmosfera magica e allo stesso tempo lugubre della storia  non sarebbe stata la stessa senza l’evocativo set disegnato da Christine Jones (composto da una foresta di betulle scheletriche, un lampione e una giostra per bambini, il tutto immerso in un sinistro paesaggio nevoso), gli strepitosi effetti speciali di Jeremy Chernwick (davvero efficaci soprattutto durante i brutali attacchi di Eli), gli effetti sonori curati da Gareth Fry e il malinconico tema musicale ideato dal celebre compositore islandese Ólafur Arnalds (vincitore di un BAFTA per la colonna sonora della serie Broadchurch), tutti elementi fondamentali nel creare un mood cupo, di costante minaccia latente. Un po’ troppo stereotopizzata invece la caratterizzazione degli altri personaggi, poco più che macchiette: l’insegnante di educazione fisica severo, il padre assente, il gruppetto di bulli, lo sceriffo inapprensibile, ecc.). Spicca però l’ambiguo personaggio di Hakan, senza dubbio la figura più tragica, il cui reale rapporto con Eli (tutore? padre? vecchio amante?) insinua un terribile dubbio nello spettatore: Eli è sinceramente affezionata a Oskar oppure sta solo cercando un rimpiazzo che si prenda cura di lei in futuro? Da questo punto di vista lo spettacolo concede poco allo spettatore, lasciando in sospeso ogni ambiguità così come alla fine nella cittadina rimarrà insoluto il mistero su cosa sia successo in quei terribili giorni di orrore.

Let 3

Dopo aver deliziato il pubblico di Londra e New York, Let the right one in sta riscuotendo un grande e meritato successo anche a Dublino, al punto da costringere gli organizzatori ad allungarne la programmazione fino al 20 gennaio (l’ultima data era inizialmente prevista per il 6 gennaio). Uno spettacolo dal respiro cinematografico che dimostra quanto il mito secolare del vampiro possa avere ancora tanto da dire al pubblico di oggi, proprio come il teatro stesso.

Let 1