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Leila della (tiepida) tempesta, di Alessandro Berti

Leila della tempesta, messo in scena al cinema Politeama, racconta la storia di una giovane donna algerina detenuta nel carcere di Bologna che, attraverso i serrati colloqui con un anonimo personaggio che le fa visita ogni settimana, riflette su molteplici aspetti della propria vita di donna musulmana immigrata: il drammatico viaggio verso l’Italia, la difficoltà nell’entrare in contatto e ambientarsi in una civiltà molto diversa da quella d’origine, l’importanza della propria fede religiosa e la necessità di un dialogo con opinioni differenti,  il valore della vera accoglienza e dell’apertura verso l’altro.

Tratto dall’omonimo libro di Frate Ignazio De Francesco (Ed. Zikkaron 2016), Leila della tempesta nasce a partire dall’esperienza di un volontario cristiano, esperto conoscitore della  lingua e della cultura araba, che sceglie di raccontare le storie di alcuni migranti incontrati nel carcere di Bologna. Alessandro Berti, autore, regista e interprete dell’adattamento teatrale del testo, decide di focalizzare l’attenzione sul personaggio di Leila e far rivivere al pubblico la sua storia suggerendo molteplici spunti di riflessione.

Su una scena assolutamente scarna, che rimanda all’essenzialità estrema della vita in carcere, si svolgono gli accesi colloqui tra Leila (interpretata da Sara Cianfriglia) e il suo anonimo visitatore. La scelta di non dare un’identità definita a questo secondo personaggio, interpretato dallo stesso Berti e dietro al quale si cela Frate Ignazio, risulta molto efficace dal momento che il visitatore si definisce quasi esclusivamente come un interlocutore, in alcuni casi addirittura una voce interiore che impedisce a Leila di sfuggire al confronto con temi spesso dolorosi. La scelta di porre Leila di fronte a un generico Altro, tuttavia, stona con la componente di affetto e fiducia che emerge dal rapporto tra i due personaggi che dobbiamo ipotizzare essere entrati in confidenza in modo poco credibile (lo spettacolo sorvola totalmente su questo aspetto) in un ambiente in cui confidenza e vicinanza vengono il più possibile evitate.

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In un’alternanza di luce e buio, silenzi, urla, canti e poesie, vengono abbozzate numerose riflessioni con l’intento di fare intuire il grande valore del dialogo interculturale e la ricchezza della vera solidarietà che impedisce di sprecare le seconde possibilità. Il regista sceglie di dedicare particolare attenzione al confronto che nasce sul testo della Costituzione che mette Leila in grande difficoltà, data la necessità di immedesimarsi contemporaneamente in una fede religiosa molto sentita e in una nuova comunità (laica) da cui si sente esclusa.

Leila della tempesta dunque è uno spettacolo potenzialmente ricco di spunti e capace di evitare quegli elementi di paternalismo e commozione gratuita che troppo spesso limitano la riflessione su un tema tanto dibattuto come l’immigrazione. La capacità di coinvolgimento dello spettatore, tuttavia, rimane tiepida, dato il mancato approfondimento dei temi accennati. Tra tutti gli spunti forniti, quello sulla Costituzione rimane senza dubbio il più originale, tuttavia, il desiderio di approfondire una riflessione costruita in termini così teorici sembra, in parte, forzato se viene espresso da una persona che, come Leila, ricerca disperatamente la verità in un luogo di oppressione, ed è animata da un desiderio immediato di concretezza.

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