Birdmen

A Legion non manca nulla, a parte la legion

Ci vuole coraggio per produrre una serie cha abbia per protagonista David Haller. Ci vuole coraggio anche se ti chiami Noah Hawley e hai vinto un Golden Globe per aver reso giustizia ai fratelli Cohen e a Fargo. Ci vuole coraggio perché, anche se Legion esiste nei fumetti dal 1985, si tratta comunque di un personaggio marginale e sfruttato poco se non a partire dal 2012 con la fortunata serie a fumetti di Simon Spurrier. Ci vuole coraggio ma anche intraprendenza. Perché quando hai tra le mani un personaggio poco conosciuto puoi fallire miseramente, anche se sei George Lucas e decidi di puntare su Howard il Papero, o godere di un successo strepitoso come accadde a Stephen Norrington con Blade. Ma Noah ci ha provato e ci è riuscito, alla grandissima, o quasi.

La serie si può riassumere così: a una ambientazione artefatta quale può essere un istituto di igiene mentale, Hawley aggiunge qua e là personaggi di dubbia natura morale e fisiologica. Ed è proprio qui che la storia entra nel vivo ovvero quando la fisiologia influenza l’etica e viceversa. Hawley descrive molto più intimamente il disagio della diversità, più sicuramente di quanto non abbia fatto Bryan Singer (anch’egli produttore della serie). Ma si capisce, Singer faceva film di supereroi a tema sociale. Hawley invece usa il pretesto dei poteri e del paranormale per raccontare una storia oscura e vertiginosa, colma di simbolismi fino all’eccesso, colorata da dialoghi strutturalmente confusi e raccontata da una fotografia vividissima che contribuisce non poco a tenere vivo l’inquietudine nello spettatore. Dan Stevens è magnetico nella sua interpretazione di un disagiato/alcolista/tossico/schizofrenico. Il suo è un ritratto di un innocenza, mai perduta perché mai avuta, eppure teneramente (e violentemente) ingenua. Ma a rubare la scena è senza ombra di dubbio Rachel Keller, sensuale anche quando si soffia il naso: la carnalità del suo personaggio è il vero fulcro attorno al quale il protagonista prende coscienza della propria e altrui identità e scopre passo dopo passo gli elementi strettamente interconnessi di amore e eros; il tutto senza che avvenga (quasi) mai alcun contatto fisico.  Altra faccia, questa volta distorta e malata, della sensualità è Aubrey Plaza, che assume interamente su di sé la carica grottesca della storia. Si avvertono i trascorsi da comica dell’attrice ma vi è ben poco di divertente nel suo personaggio; al contrario quella di Lenny Busker è una presenza tanto conturbante quanto disturbante e se non fosse per le derive sovrannaturali che la storia inevitabilmente sviluppa, il personaggio ricorda molto da vicino una giovane Helena Bonham Carter nei panni di Marla Singer.

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Nei suoi otto intensissimi e ben farciti episodi, alla serie non manca nulla: thriller, horror, introspezione psicologica (e psichiatrica), metafore e allegorie ben riuscite delle più recenti questioni sulla diversità e una profonda semplicità narrativa (ma non narratologica, quella per niente) che vede un protagonista sconfiggere un drago per salvare la sua amata. A Legion non manca niente: tranne la legion. Si comprende la necessità di usare un nome “da super-eroe” tanto semplice quanto nebuloso per riunire allo stesso modo fan dei fumetti e spettatori occasionali. Nella serie vengono sollevati innumerevoli interrogativi e solo alcuni ricevono una risposta esaustiva e sia chiaro va bene così. Tutto grasso che cola per una seconda attesissima stagione. Ma l’interrogativo principale, quello che parte dal titolo stesso, non solo non trova risposta ma non viene neppure sollevato. Un lettore di fumetti, come il sottoscritto, non può che domandarsi dove siano tutti gli altri (altri chi? Se non avete letto i fumetti non mi arrischio a dire altro) ma anche un completo neofita non può fare a meno di chiedersi cosa voglia significare il titolo. È questa una strana mancanza che certamente verrà approfondita nelle prossime stagioni, ma che sarebbe stato più corretto almeno accennare in questa. La serie rimane comunque un ottimo prodotto, in grado di competere (e a ben guardare è proprio questo il punto) con le serie Marvel/Netflix, non perché brilli di un solido realismo,ma perché la forza delle illusioni ben strutturate è talmente efficace da rendere il sovrannaturale credibile.

Legion è un prodotto fresco e innovativo che rinnova e rafforza non solo la presenza mutante al di fuori della pagine dei fumetti (e delle sale cinematografiche), ma propone un serio rinnovamento dei canoni della narrazione fumettistica, almeno in televisione. E questo non perché si voglia prendere le distanze dal materiale originale ma perché diventa sempre più chiaro proprio come il materiale originale abbia già in sé stesso quella originalità che non raramente la case di produzione sacrificano in funzione di un profitto facile.

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