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Legalitante II | Caporalato, mafie e false cooperative

Quello che state per leggere è una rielaborazione di una ricerca commissionata da ADOC, un’associazione per la difesa del consumatore, e finanziata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È stata svolta analizzando i dati ufficiali, intervistando le parti sociali che si occupano di questi temi quotidianamente e traendo le somme su un fenomeno che sempre di più si rivela essere radicato nel territorio: il caporalato. Ma non solo: in questa rubrica tenterò di affrontare il lavoro irregolare in generale. Il titolo stesso, “legalitante“, vuole dare l’idea di una legalità sfuggente, quasi latitante.


 

In una realtà come quella dello sfruttamento del lavoro, non si può dimenticare l’apporto della criminalità organizzata e della mafia. Il fenomeno delle agromafie è ormai riconosciuto da tempo e consiste nella rete tentacolare creata dalle cosche che mettono le mani in ogni ambiente legato all’agricoltura, anche nei posti più impensabili: dalle campagne, agli allevamenti; dai ristoranti, alla distribuzione dei prodotti ortofrutticoli; fino al fenomeno recente del turismo agricolo e agroalimentare. Queste realtà, che viaggiano sul filo della legalità apparente, nascondono molti scheletri: lo sfruttamento tramite violenza, il riciclo di soldi, la gestione dei rifiuti, la sottrazione di soldi pubblici, e così via. Il danno collaterale, quello risultante non dall’intervento diretto ma indiretto di questo fenomeno, è la creazione, soprattutto al meridione, di una situazione di arretratezza e di un sistema clientelare che non agevola né l’economia, né il singolo lavoratore. Non per nulla l’allora Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina disse nel 2015: “il caporalato va combattuto come la mafia”.

Il collegamento con le mafie è ovviamente anche una questione di mera occasione, dato che buona parte del fenomeno caporalato si sviluppa PRINCIPALMENTE al sud Italia. Non vanno dimenticate le schiave romene violentate nei campi di Ragusa, in Sicilia; segregate e vittime di veri e propri festini sessuali, nonché dell’omertà di quasi tutti. Non vanno scordati neppure gli schiavi della vendemmia piemontese, dove sotto 35 gradi per 12 ore al giorno viene prodotto il famoso Moscato d’Asti. Ci sono gli indiani dell’Agro Pontino. 13.000 persone che raccolgono frutta nei campi per meno di 400 euro al mese. Il fenomeno è quindi diffuso e non solo un problema del meridione. D’altronde bisogna considerare la sempre crescente presenza mafiosa al nord, soprattutto in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna; fattore che non può che agevolare questi tipi di realtà.

Come solo il mondo criminale sa fare, il caporalato trova molteplici vie e scappatoie per continuare ad esistere seguendo le proprie regole. Faccio riferimento alle false cooperative e al caporalato degli appalti. Spesso, soprattutto al nord e meno al sud dove il fenomeno si presenta nelle modalità classiche, i datori di lavoro si rivolgono a cooperative, o presunte tali, su cui appoggiarsi durante i lavori cosiddetti stagionali che abbisognano di grandi quantità di manodopera per brevi periodi. Queste cooperative sono solo uno specchietto, una parvenza di legalità dietro cui si nasconde lo sfruttamento. La manovalanza viene assunta per tal mansione, ma svolge tal altro lavoro, ovviamente con le forme tipiche del caporalato (violenza, coercizione, minaccia e così via). Queste aziende spesso non hanno neanche un vero e proprio ufficio, o registrano come sede legale uno sgabuzzino sperduto, o la casa di un prestanome, o ancora lo studio di un commercialista compiacente. Ci sono pochissime tracce, qualche contatto a cui difficilmente qualcuno risponderà e molte ambiguità. Questa nuova procedura non è altro che una maschera per la solita intermediazione illegale di manodopera ed è qui che capiamo l’importanza, come vedremo, della Legge 199/2016: non punisce solo chi perpetra il caporalato, ma anche chi ne fa uso. Non è solo il caporale a dover temere le forze dell’ordine come era prima della suddetta legge, ma anche chi se ne approfitta per un tornaconto personale. Come avremo modo di approfondire più avanti, questi atteggiamenti permettono di abbattere il costo della manodopera per cifre vicine al 40%; è quindi lapalissiano che le aziende operanti nella legalità non riescano ad essere concorrenziali con chi invece evade questi costi. Spetta al Paese, alle istituzioni, alle Regioni e infine allo Stato occuparsi di smascherare queste realtà inquinanti, con tutte le difficoltà che possono esserci nel colpire un ventaglio di azioni così fumose e variegate. Non di rado le figure del datore di lavoro e della falsa cooperativa collimano e per esempio il padrone di un’azienda avvia una cooperativa in modo da poter assumere con modalità diverse da quelle che dovrebbe seguire impiegando per via diretta. Infine, va considerato il danno fiscale. L’azienda appaltatrice non è tenuta a pagare l’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e scarica l’IVA con le fatture. La finta cooperativa dovrebbe dunque pagare quelle spese ma ovviamente ha la libertà di chiudere all’improvviso e di sparire completamente. Ecco perché spesso non è l’INPS ad intervenire ma direttamente la Guardia di Finanza.

 

TUTTE LE PUNTATE DI LEGALITANTE

 

I – L’identikit del caporale

II – Caporalato, mafie e false cooperative

III – Il duro braccio della Legge

IV – Differenze fra elusione ed evasione fiscale

V – La parentesi morale

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