Musica

Le regole e la forma del Free Jazz: “Lonely Woman” di Ornette Coleman – parte II

Nel 1959 il panorama jazzistico si compose in una catena di rivoluzioni del linguaggio musicale, artisti provenienti da diverse realtà e senza alcun legame diretto esplorarono nuovi percorsi. Non si parla di influenze, ma di un corso naturale della storia che ha fatto emergere individualismi di pensiero, riversatisi nel giro di appena due anni. Ornette Coleman fece parte di questo processo. In questa seconda parte scopriremo cosa renda così rivoluzionario e dibattuto lo stile, denominato poi free jazz, del sassofonista texano partendo da una breve analisi e alcune considerazioni sul brano Lonely Woman.

(Link alla prima parte dell’articolo: https://inchiostro.unipv.it/2019/05/04/le-regole-e-la-forma-del-free-jazz-lonely-woman-di-ornette-coleman-parte-i/)

Nonostante il nome abbia suggerito a molti come il free jazz sia una musica in cui: «Suona quello che vuoi, tanto è giusto» sia la frase che meglio la rappresenti, la verità è ben lontana da questa metaforica anarchia musicale. A darci il primo indizio è il titolo dell’album The Shape of Jazz to Come, dove la parola shape suggerisce dei confini e una specifica forma. In musica la parola “forma” indica l’articolazione dei temi, della struttura e dello sviluppo melodico, ritmico e armonico. Elementi regolatori di un brano, che Coleman rende liberi dalle tradizionali regole del jazz attraverso dei criteri specifici. In altre parole, ci sono eccome delle regole, anche se non scritte. Infatti per questa breve analisi l’utilizzo di trascrizioni e spartiti risulterebbe quanto mai inutile e fuorviante.

Copertina dell’album “The Shape of Jazz to Come” (1959)

Da dove Ornette Coleman prenda ispirazione per Lonely Woman, viene spiegato da lui stesso durante un’intervista con il filosofo Jacques Derrida, a cui racconta come durante il periodo a Los Angeles fece tappa in una galleria d’arte vicino a dove lavorava. Vide un quadro di una donna bellissima e circondata da ogni lusso, ma lo sguardo era il più ricolmo di solitudine che avesse mai visto. Una sensazione così potente Coleman non l’aveva mai provata.

Il brano si apre con un’introduzione del basso e della batteria che scandiscono un tempo veloce, di seguito attaccano il sassofono e la tromba con un tema melodico fuori tempo rispetto all’introduzione. A dimostrazione di questo basti notare quanto sia difficile tenere il tempo su questo brano, anche l’ascoltatore può provare a battere le mani a tempo durante l’introduzione, ma appena le voci dei due fiati subentrano si nota subito qualcosa di strano. Non stanno seguendo il tempo del brano, ma al contempo ne rispettano la struttura. Per essere più chiari consideriamo brevemente il profilo ritmico nel brano: il contrabbasso e la batteria scandiscono con rigore il tempo mentre il sassofono e la tromba scorrono più lenti e riflessivi, eseguendo molte figure ritmiche fuori dal tempo, una separazione netta che rende complesso il meccanismo di individuazione di uno scorrimento lineare del tempo.

Tra gli elementi che hanno reso così dibattuto e innovativo il brano, troviamo in primis la struttura, per spiegarlo in maniera semplice prendiamo la poesia come esempio. All’interno della struttura di una poesia il verso è una frase e le parole al suo interno si compongono in una logica metrica come il settenario o l’endecasillabo, in musica le battute hanno la stessa funzione di suddivisione ritmica del verso. L’insieme dei versi vanno a formare la strofa, la quale viene denominata A oppure B in base alle sue qualità e il contrasto formale che sussiste tra strofa A e B. Allo stesso modo in musica un agglomerato di battute che delineano un tema si definisce sezione A o sezione B sulla base delle differenze tra di esse. Il brano Lonely Woman si costituisce in forma AABA, dove la singola sezione A si costituisce di 16 battute, mentre B di 8. In questo c’è una grande rivoluzione rispetto alla tradizione jazz che vuole (ad esclusione di altri genere come il blues) tutte le sezioni suddivise in 8 battute, totalizzando quindi un brano di 32 battute, ma nel seguente brano diventano 56.

Il secondo elemento innovativo è l’armonia del brano, ovvero come le note si sovrappongono tra di loro, è un altro elemento innovativo e distante dalla tradizione. Risulta complicato parlare di accordi nel brano in quanto (a parte nella sezione B) questi non esistono. Allora l’armonia da dove emerge? Dalla sovrapposizione delle tre voci di tromba sassofono e contrabbasso, ma il risultato armonico non è chiaro, né delineabile.

Infine l’improvvisazione centrale, si sviluppa sull’intera struttura AABA del brano. Il sassofono esegue una melodia che aumenta quella sensazione di fluttuazione su due linee temporali e di assenza del centro tonale. Mentre il contrabbasso e la batteria restano saldi alla base, la tromba si lancia in un assolo simultaneo al sassofono. La caratteristica dell’improvvisazione affidata a due o più strumenti contemporaneamente, e non uno solo, diventerà una firma dello stile di Ornette Coleman, oltre che di molti altri artisti jazz che a lui si ispirarono.

La summa del modo in cui il sassofonista ha trattato gli elementi musicali che abbiamo preso in esame è l’Armolodia, un concetto filosofico-musicale ideato dallo stesso Coleman. La definizione di Armolodia non è univoca, in quanto lo stesso autore non voleva fosse tale, in più interviste gli è stato chiesto di rispondere alla domanda sul suo significato, ma ogni volta la risposta cambiava. L’enigma rende ancora più affascinante e coerente il concetto di Armolodia, con la quale sommariamente potremmo intendere un sistema dove le caratteristiche armoniche e melodiche hanno pari importanza e vengono fuse, eliminando l’effetto tensione-rilascio di un brano, facendo emergere un unico flusso sonoro. Mancando un centro su cui la musica ruota, l’Armolodia stessa è priva di una definizione. Questa concezione è il risultato dello studio e della pratica, compiuti da Coleman, di generi e culture lontane tra loro: musica africana e indiana, ma al contempo la tradizione gospel e blues.

La sintesi è che il free jazz non è propriamente un genere, ma è un approccio per cui liberarsi dalle tradizionali regole del jazz, senza dover distaccarsi da tutti gli stilemi, per ricercare il proprio linguaggio free jazz.

Per capire in maniera netta quanto sia d’impatto il flusso composto da due tempi diversi di Lonely Woman, basta ascoltare uno dei tanti arrangiamenti del brano, quello proposto qui è del sassofonista John Zorn nell’album Naked City (1990). Si noterà subito come la melodia sia ritmicamente in pari con tutti gli altri strumenti, dandole maggiore ordine, ma cambiandone totalmente il senso generale.

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