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Le Recensiony: The Neon Demon

Se dovessi paragonarlo ad una giornata, questo film sarebbe la rappresentazione di quello che credo si provi sotto effetto di qualche droga. Una di quelle allucinogene. Non alogene ma al neon.

Il neon demon.

C’è chi per divertimento, per fantasia o per letteratura ha supposto che gli dèi si spostassero di potenza in potenza rimanendo sempre gli stessi e adattandosi al nuovo popolo in voga in quel periodo: prima in Egitto, poi in Grecia, Roma e così via attraverso la storia. Oggi la presunta supremazia è esercitata dagli Stati Uniti. Ed è qui che gli dèi si rinnovano, si condensano, si mischiano in un unico. Se gli dèi egizi erano esoterici, quelli greci culturali e quelli romani politici, oggi gli dèi statunitensi sono estetici.

Il dio/demone del neon è l’incarnazione dell’edonismo sfrenato che ci viene qui presentato attraverso il mondo che per antonomasia ne è influenzato, quello della moda; questa realtà fa però solo da metafora, da microcosmo, in cui è possibile  riscontrare e ritrovare il mondo di tutti.

Jesse è una sedicenne apparentemente pura che entra in un mondo di vampiri nel quale, non a caso, la sua malcelata illibatezza viene predata dalle sanguisughe che vogliono succhiare via la vita dove è ancora calda.

La grande città metropolitana di Los Angeles, nonostante ci venga presentata in tutta la sua vastità, anche da uno dei suoi punti più caratteristici, è minuscola. I personaggi sono sempre gli stessi e girano a turno negli stessi luoghi, incontrando le stesse facce. In questo sistema noioso e annoiato, la finta diciannovenne dal passato nebuloso emerge. La si nota. Non sa perché, ma tutti la guardano. Dice di non avere capacità, nonostante “l’amico” cerchi di convincerla del contrario, ma sa che effetto fa alle persone. E così, mentre una collega non viene neanche degnata di uno sguardo, Jesse attira quasi subito l’attenzione.

In questo iniziale smarrimento dell’adolescente, la prima vampira cerca di sedurla con il miele. È dolce, amichevole, comprensiva. Le offre il supporto che le serve. L’adula. Ma col senno di poi, coi rimandi, con le frasi ben piazzate, capiamo che forse c’è un piano celato. Invisibile per la protagonista, in filigrana per lo spettatore.

Un animale quantomeno fuori contesto che compare nella camera della ragazza. L’incubo premonitore che la salva ma la spinge verso le braccia di una burattinaia machiavellica, contorta e malata. È il punto di svolta per la truccatrice che finalmente ha accanto la sua preda.

Dal miele ora si passa ad una passione carnale, prepotente ma ancora nel limite della focosità. Essa divampa e il rifiuto diventa ben presto motivo di frustrazione sessuale, scaricata prima in maniera inumana, e poi abominevole, attraverso un rito che porta le tre vittime della gelosia a danzare in un sabba insanguinato del fluido vitale di una vergine. L’esoterismo e il simbolismo sono forti.

Le immagini, i suoni, gli occhi sempre spalancati di alcuni personaggi, gli sguardi fissi nel vuoto di altri; si uccide la bellezza per eliminare gli ostacoli, la si mangia per poterne assumere le sembianze.

Ma il demone del neon non è mai sazio e agisce anche attraverso chi gli si para davanti per caso. Anche questi ultimi, annusando la bellezza e la perfezione cercano di assumerla portando avanti un’idea famelica e cannibale di completezza personale, probabilmente continuazione di un ciclo infinito.

È un film quantomeno particolare quello di Refn. Non adatto a tutti e forse neanche a me. Quel che si deve notare è la magnifica fotografia. Perfettamente centrale quando serve, spostata da un lato quando deve. Colori sempre ben distinguibili che non si mischiano mai tra loro. Giochi di luce che mostrano solo quello che devono. Neon, presente in ogni scena, simbolo dell’incombenza del demone su ogni aspetto della vita dei personaggi, come di tutti gli altri.

A dirla tutta, la parte estetica è quasi perfezione pura, ma si cade nel barocco. Una bella busta con un messaggio confuso. Semplice ma reso eccessivamente arzigogolato. Simile ad un cinema sperimentale, quasi d’avanguardia che risulta una masturbazione estetica dello stesso regista che forse cade nella hybris o forse esprime una certa ironia, un certo sarcasmo confezionando la sua opera proprio come quello che sta cercando di denunciare: ricerca sfrenata del bello.

Non so dire se mi è piaciuto. Non saprei consigliarlo come film. Ma posso consigliarlo come cinema, come visione attraverso occhi inconsueti e inusuali.

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