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“Caro papà” (1979), di Dino Risi

Se dovessi paragonarlo ad una giornata, questo film sarebbe il giovedì, quando c’è quel professore di Storia che cerca di farti ridere senza troppo successo. Un po’ come succede nel film Caro papà, di Dino Risi, maestro della commedia all’italiana che, nonostante cerchi di raccontare un tema forte, non si lascia sfuggire l’occasione di mettere in scena qualcosa che nelle intenzioni dovrebbe stemperare o addirittura divertire, ma alla fine rende il film soltanto meno impegnato e meno riflessivo.

14916190313_e807b65169_zPellicola del 1979, Caro papà vede Vittorio Gassman al centro della scena; fisicamente, s’intende, visto che è presente pressoché in ogni secondo del film. Interpreta Albino Millozzi, ricco imprenditore molto distante dalla famiglia e dedito solo al lavoro. La trama ruota intorno al diario del figlio ventrienne, Marco, il quale nonostante la ricchezza della famiglia, cerca nella ribellione la propria affermazione. Marco, sul diario, annota di un fumoso piano che porterà Albino Millozzi a rivalutare ciò che lo circonda e a capire che la sua distanza lo aveva reso un estraneo alla sua stessa famiglia, con cui comunicava solo attraverso il denaro. Faccio riferimento ad esempio alle ultime scene quando Millozzi si chiude nel mutismo mentre la moglie e l’amante parlano di denaro e gioielli. Qui, come atto redentivo, l’unico a piangere è il figlio, complice di un misfatto che forse il padre non meritava. Difatti Albino, nonostante venga creduto tale dal figlio, non è retrogrado e attaccato al passato ma, anzi, più volte dimostra di avere un’apertura mentale che va oltre il periodo storico che sta vivendo. Dino Risi cerca di mettere in scena l’incomunicabilità generazionale, e lo si nota maggiormente quando viene coinvolto il padre di Albino. Qui vengono messe a confronto tre generazioni. Una che consiglia di usare il bastone per educare, una che non sa comunicare e allora elargisce soldi e l’ultima che si comporta infantilmente nonostante l’adolescenza sia passata da un pezzo.

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Detto questo, una contestualizzazione storica è d’obbligo. Siamo sul finire degli anni settanta, gli anni di piombo sono vivi e mietono vittime ogni giorno. Dino Risi inserisce la sua storia in quell’Italia che non aveva mai smesso di protestare dal ’68, quando gli studenti scesero in piazza per rivendicare libertà e uguaglianza sociale; rivendicazioni sfociate ben presto in una degenerazione che nel resto d’Europa venne presto sedata, ma da noi venne dapprima appoggiata dai sindacati operai e poi dai gruppi terroristici, sia di Destra che di Sinistra. Risi risulta però parodistico o tragicomico cercando di parlare di anni così ingarbugliati. Prova a mettere in scena una rapina in banca in stile Prima Linea (gruppo terroristico secondo solo alle Brigate Rosse), ma il tutto risulta sciocco, quasi fosse uno scherzo. I suoi personaggi poi sono infantili. I giovani sono ancora pronti a scendere nelle piazze non per attaccare il potere, ma per pura ideologia. Un’ideologia che attacca il padrone, il borghese, il capitalismo, ovvero qualcuno di puramente simbolico ma non determinante. Talvolta il film riesce a fare della satira efficace. Ad esempio in Svizzera il telegiornale dà come notizia locale il ritrovamento di una mucca scomparsa ma, passando alle notizie estere, vengono trasmesse le immagini degli scontri di piazza e degli attentati in Italia; non può che venirmi in mente la più che abusata frase de Il terzo uomo, di Orson Wells: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.

DinoRisiÈ un film fatto di ipocrisie, di idee tradite. Il socio e amico Perrella passa dall’essere partigiano durante la Resistenza a voler fucilare al muro tutti quei ragazzi. O lo stesso Albino, che cerca sempre di essere giovane ma poi si scioglie solo con la musica leggera dei suoi tempi. Risi, semplificando al limite la realtà, descrive una società sull’orlo del collasso generazionale, con genitori e figli che non si capiscono, con un clima politico instabile e pericoloso. Per certi versi Caro papà può essere considerato un tentativo non completamente riuscito di Cinema storico. Molte sono state le critiche ai tempi e oggi; per chi non ha neanche lontanamente vissuto quegli anni è difficile comprendere cosa non vada davvero. Ma proprio per questo pubblico la pellicola di Risi può essere uno dei tanti modi con cui conoscere un pezzo della nostra Storia da integrare con film ben più impegnati, e più “noiosi”, che in quegli anni venivano girati.

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