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Le mail, gli scandali, il candidato Clinton

[Photo credits: Getty Images]

Le ultime settimane per Trump sono state un vero incubo. Dal primo dibattito il 26 settembre in poi, le catastrofi si sono moltiplicate. Prima la totale impreparazione con cui ha affrontato la Clinton, poi lo scandalo scaturito dal video pubblicato dal Washington Post, adesso le accuse delle donne che avrebbe molestato in passato rivelate dal New York Times, fino alle scuse di Trump che in realtà non erano scuse. Un grosso chiasso mediatico che nasconde un po’ gli intrighi di cui è accusata la Clinton. Scandali che Trump non smette di ricordare ai media, quando non è occupato a difendersi.

Gli scandali in questione riguardano principalmente le sue email e in realtà sono due: uno che la coinvolge in prima persona e uno di cui è protagonista il Partito Democratico e che la coinvolge solo marginalmente.

Nel luglio scorso il server del Partito Democratico americano ha subito un attacco informatico nel quale sono state rubate numerose mail. L’attacco è stato portato avanti prima della Convention che avrebbe nominato ufficialmente il candidato del Partito alla Presidenza e i documenti che sono stati presi sono stati pubblicati sul sito di WikiLeaks. Dai documenti emergeva una tendenza da parte dei vertici del Partito a favorire la candidatura della Clinton e ad affossare volontariamente quella di Bernie Sanders, altro candidato in gara. Nei giorni immediatamente precedenti l’apertura della Convention, il Presidente del Partito, Debbie Wasserman Shultz, si è dovuta dimettere per far tacere lo scandalo. Questo non ha avuto molti effetti oltre la disillusione ulteriore dell’elettorato democratico nei confronti della Clinton, diventata a quel punto unico candidato in corsa alla Casa Bianca.

Nonostante questo le email continuano ad essere pubblicate da WikiLeaks, in particolare quelle del primo collaboratore in campagna elettorale di Clinton, nonché suo fidato amico, John Podesta, nelle quali si possono leggere dei commenti non proprio carini nei confronti dei colleghi o dei contatti con il Dipartimento di Giustizia. Niente di troppo scandaloso finora. La grana della Clinton riguarda altre email, quelle che riguardano il suo periodo alla Segreteria di Stato durante la prima amministrazione Obama. Intorno ad esse non vige solo un problema legale, ma soprattutto un problema politico e di mezze-verità che Clinton ha espresso finendo per contraddirsi.

L’interesse nei confronti delle mail della Clinton risale al periodo dell’attentato al Consolato di Bengasi, nel quale perse la vita l’Ambasciatore Stevens l’11 settembre 2012. In modo da poter conoscere le responsabilità di quell’attacco, il Parlamento ha permesso al FBI di avviare un’indagine. La polizia federale ha così scoperto che alcuni dei documenti governativi erano stati scambiati dalla Clinton tramite una casella di posta privata agganciata ad un server privato che era installato nella cantina della sua residenza privata nello Stato di New York. L’Investigatore Generale del Dipartimento di Stato ha avviato un’indagine interna per stabilire se la Clinton avesse o no violato le leggi federali, ricadenti in capo ai membri del Governo, usando quella casella di posta lì. La storia è diventata di interesse nazionale quando è uscita nel marzo 2015 sulla prima pagina del New York Times.

La questione è abbastanza complessa sia dal punto di vista legale che deontologico. Nel 2014, Obama aveva fatto passare una legge che prevedeva che ogni membro del Governo dovesse inoltrare la propria corrispondenza al server del Dipartimento di Stato in modo da garantirne la sicurezza e la tracciabilità. Le conseguenze di un mancato adempimento però non erano di ordine penale, ma solo amministrativo. Proprio questa legge è stata l’argomento principale nella difesa della Clinton: le email provenienti dall’account privato della Clinton, dopo essere state inoltrate allo proprio staff erano automaticamente entrate sul server del Dipartimento.

Ma la questione non è così semplice. Intanto la Clinton avrebbe installato il proprio account su un dispositivo mobile dal quale intratteneva la propria corrispondenza. Un dispositivo di cui non era garantita la sicurezza. Soprattutto che i cellulari che lei ha “consumato” durante il suo mandato di Segretario di Stato sono tredici in totale. Il FBI ha raccolto testimonianza di alcuni membri dello staff che hanno personalmente distrutto alcuni dei cellulari, ma non si può certificare che siano stati distrutti. In merito a questo la Clinton ha detto che le sembrava più facile avere tutto su un unico apparecchio. Gli analisti politici invece vedono in questa scelta la necessità della Clinton di essere unico arbitro di quanto, della propria corrispondenza, dovesse essere effettivamente dichiarato al Dipartimento di Stato.

In seguito alle indagini del FBI, è emerso anche che quello che veniva scambiato nelle mail del server privato erano delle mail contenenti del materiale segnato come “confidential”, “secret” o addirittura “top secret”. Circa cinquantadue conversazioni (per un totale di centodieci mail) avrebbero trattato materiale sensibile. Senza contare quelle eliminate di cui il FBI ha rilevato le tracce. La prima collaboratrice all’epoca della Clinton sostiene che quelle conversazioni siano state trasferite in un altro computer o in uno spazio di archiviazione di cui sono state perse le tracce. In merito a questo la difesa della Clinton risiede nel fatto di aver dichiarato che quelle mail contenevano del materiale che all’epoca non era classificato come sensibile.

Un’indagine di Reuters dimostra che questa cosa è effettivamente plausibile, il server aggiorna automaticamente il grado di confidenzialità. Le mail in ogni caso, almeno quelle a cui si è potuto avere accesso, trattano materiale sensibile nella misura in cui riguardano la corrispondenza della Clinton su materie di politica estera con altri Ministri degli Esteri. Quello che è interessante è che le mail accessibili, circa quindicimila, sono state rese pubbliche dal FBI stesso, aprendo una discussione infinita sul fatto che nonostante tutto alcune contenevano delle informazioni troppo sensibili per essere di dominio pubblico. Per uscire dalla storia e deviare l’attenzione la Clinton e il suo staff avrebbero coinvolto anche il predecessore alla Segreteria di Stato, Colin Powell, che avrebbe inviato un “memo” alla Clinton nel quale suggeriva di usare un account privato, ma con estrema cura. Ovviamente Powell ha preso le distanze, dicendo che per salvarsi Hillary sarebbe in grado di far ricadere la colpa su di lui.

Le storie quindi si intrecciano all’infinito, il problema principale rimane il comportamento della Clinton, una donna politica rodata, troppo pericoloso. Con l’uso di account privato, della corrispondenza privata avrebbe reso materiale sensibile molto più esposto alla possibilità di un attacco informatico.

Il FBI ha concluso il proprio rapporto dicendo che la Clinton si è comportata in modo “extremely careless” ma ciò che ha fatto non costituisce reato.

La Clinton sarà anche penalmente salva, ma politicamente è difficile superare questa storia. La presunzione di innocenza, per questo e altri scandali, è un lusso che la Clinton non si può più permettere. Le dichiarazioni spesso contrastanti ed episodicamente smentite dal FBI la rendono un candidato inaffidabile. L’elettorato è ormai troppo abituato ai suoi scandali e conquistarne la fiducia non è stata, non è e non sarà un’impresa facile. Ma questa non è stata una campagna elettorale normale e molto probabilmente a salvarla a questo giro non sarà il suo acume politico ma la totale (e più volte dimostrata) incapacità di Trump ad occupare l’ufficio della Presidenza.

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