Attualità

L’accesso alla Rete: Diritto Umano Fondamentale

L’emergenza sanitaria generata dal Covid-19, prolungatasi oltre ogni iniziale previsione, ha imposto nuove modalità di vivere, di lavorare e certo anche di partecipare alla vita politica del Paese. Da circa due mesi, le nostre giornate sono chiuse tra mura domestiche di cui ormai abbiamo conosciuto il duplice volto. Il muro è il concetto di limite divenuto realtà: è un taglio netto tra l’io e l’altro, tra il dentro e il fuori, con la duplice e ambigua funzione di proteggere e di isolare. Chi più chi meno, durante questa quarantena ognuno di noi si è sentito ora abbracciato, ora quasi soffocato da queste mura: almeno una volta tutti abbiamo sognato di distruggerle e di uscire a riconquistare la consueta libertà del mondo occidentale. Libertà di movimento, di opinione e, soprattutto, di espressione. Il confronto con l’altro è stata una vittima precoce della pandemia: il contatto umano al di fuori del nucleo familiare ha perso il gusto autentico dell’incontro diretto. Da fine febbraio l’occasione sociale sopravvive solo mediata da uno schermo, dalla diretta Facebook alla videoconferenza su Meet, alle altre piattaforme social offerte dalla Rete. Ma questa nuova veste sta stretta un po’ a tutti. Scuole e università hanno perso il loro ruolo di centri di aggregazione sociale e, specie negli ordini inferiori, le lezioni a distanza lasciano molte perplessità anche sul piano didattico: la loro efficacia si gioca tutta sul senso di dovere dello studente, cui è richiesta un’autonomia nella pianificazione dello studio mediamente assente in certe fasce d’età.

“Quanti volumi sono stati scritti sulla disposizione dei banchi e su tutte le tecniche pedagogiche relazionali? A che cosa servono quegli studi, ora, se ci dicono che va bene la didattica dietro uno schermo?”. Graziamaria Pistorino, segretaria nazionale della FLC CGIL, docente di filosofia, si interroga sulla validità di riprodurre nella didattica online gli stessi metodi di insegnamento della scuola normale, trovando, ad esempio, più congrui i giudizi al posto dei tradizionali voti numerici.

Inoltre, precisa: “non tutti hanno un computer, una stampante, un tablet, una connessione che funzioni, una motivazione”.

Per non parlare della politica, ove il Web esalta la comunicazione per slogan, spesso retorica e vuota, che lascia poco spazio all’argomentazione tipica di un sistema parlamentare basato sul dibattito democratico.

Vignetta di Gianni Audisio

Con tutti i suoi limiti, però, la via del digitale sembra essere l’unica attualmente percorribile: prima dell’emergenza Coronavirus a lavorare da casa in Italia erano in 570 mila, il 2% dei dipendenti, contro il 20,2% del Regno Unito, il 16,6% della Francia e l’8,6% della Germania. Poi è esplosa la pandemia e in due settimane, comunica il Ministero del Lavoro, 554.754 lavoratori sono stati mandati a lavorare a casa. Per questo il Governo si sta battendo per l’informatizzazione di un Paese risultato dalle statistiche più arretrato del previsto: se in generale nel 2018 l’accesso ad Internet è aumentato, ci sono ancora 11 milioni di persone escluse, distribuite prevalentemente in Molise, Calabria e Sicilia. Ma non solo: l’arretratezza tecnologica dilaga anche al Nord. Nelle tre regioni più colpite dall’emergenza, cioè Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, i comuni e le frazioni in cui non è possibile svolgere uno smartworking efficiente sono ben 2349.

Parlare di digitalizzazione in questi tempi di isolamento sociale non significa solo parlare della strumentazione tecnica per far fronte ai bisogni più urgenti e vari, quanto di possibilità di espressione del cittadino nel contesto lavorativo e nello scenario politico. Di qui la proposta di annoverare l’accesso alla tecnologia tra i Diritti Umani Fondamentali.

“Fosse per me inserirei una modifica della Costituzione con il diritto all’accesso alle reti info-telematiche. Il concetto della libertà sostanziale espresso dall’articolo 3 della Costituzione prevede che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Oggi lo strumento di partecipazione più concreto ed efficace è l’accesso ad Internet.” Queste le parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nella conferenza stampa in occasione del decreto legge sulla scuola e di quello a supporto finanziario per le imprese.

Le parole del Premier arrivano dopo anni di dibattito sulla questione, aperto nel 2010 dal giurista Stefano Rodotà. In occasione del primo Internet Governance Forum, questi propose un’integrazione dell’articolo 21, riguardante la libertà di pensiero. Un primo risultato in questa direzione giunse due anni dopo, quando il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite riconobbe l’accesso al Web e la libertà di espressione online come Diritti Umani Fondamentali. Su questa scia, nel luglio 2015 in Italia è stata varata la Dichiarazione dei Diritti di Internet, frutto del lavoro di una Commissione presieduta dallo stesso Rodotà, per cui “ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. Quindi, a ben vedere, i presupposti legali per un diritto alla Rete esistono già, ma restano da definire le modalità di una loro concretizzazione a breve.

I diritti, però, viaggiano con i rispettivi doveri. Ciò significa che, accanto al diritto alla Rete, l’Italia del Coronavirus avverte anche l’esigenza di un dovere alla Rete, da intendersi come il contributo che ciascuno, nel suo piccolo, deve al tentativo di mandare avanti la scuola, le aziende e, sì, anche le relazioni umane. Insomma: il tentativo di salvare il salvabile, partendo dal presupposto, forse un po’ amaro, che un mondo mediato dai computer non pareggerà mai quello reale.

Quando sarà il momento, dovremo avere la flessibilità, e magari la gioia, di riabbracciare la vita normale, oltre che la maturità di non abusare del Web e di non restare imbrigliati nella Rete. Il diritto ad Internet nasce per colmare le distanze imposte da un isolamento temporaneo, non certo per rendere tali distanze permanenti. Più che un diritto universale, andrebbe considerato un mezzo essenziale alla realizzazione di diritti universali “più radicali”, quali il diritto all’informazione, al lavoro e all’istruzione. La Rete è uno dei geniali prodotti dell’uomo, uno strumento nelle sue mani, e va tenuta lontana dall’esempio del mostro di Frankenstein che subordina il proprio creatore.

Frasi scontate, che tornano valide data l’eccezionalità del periodo. Il mondo virtuale è un’aggiunta al mondo reale, ma può solo in parte sostituirlo: è intrinsecamente verosimile e pertanto non vero. Un’enorme risorsa, specie in attesa di ritornare ad assaporare il valore sociale e politico delle relazioni umane.

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