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La Torre Eiffel, un “obbrobrioso capolavoro di metallo”

Settembre 1999, avevo dieci anni, e per la prima volta ero in viaggio verso una grande capitale d’Europa (che non fosse Roma). Parigi, la Ville Lumiere, la città dei miei già tanto amati pittori impressionisti, la città d’adozione di Victor Hugo, la città della Rivoluzione: avevo già mille motivi per poter costringere i miei genitori a portarmi proprio lì.

Primo giorno, passeggiamo nel rione Cambronne, dove abbiamo il nostro albergo, un classico rione parigino con i suoi grandi boulevard, che si ramificano ai lati in viettine costellate di brasserie e di tavolini di caffè all’aperto (all’epoca l’invasione dei brand internazionali era limitata a Mc Donald e Burger King). Non possiamo non vedere la Torre Eiffel, dato che abbiamo preso l’albergo apposta lì vicino, perché noi bambini eravamo entusiasti, tra le altre cose, di poter vedere subito e da vicino il simbolo di Parigi. Basta alzare la testa, la Torre è alta 320 metri, fino al 1930 è stato l’edificio più alto del mondo… la si vede da qualunque punto della città, basta guardare in alto. Eppure non la vediamo. “Servirà tirare fuori una cartina? No dai, non è possibile, non possiamo essere così storditi”. Chiediamo informazioni ad un passante, una signora cinese, la quale, non capendo bene il nostro pseudo-inglese, semplicemente ci invita a voltarci, a guardare di sbieco tra due palazzine, e ad alzare gli occhi.

La Torre Eiffel era lì, si intravedeva la sua punta proprio tra due palazzi, i bassi palazzi del settimo arrondissement dietro la Scuola Militare francese. Arriviamo davanti alla torre, attraversando l’area pedonale dei Campi di Mart; ed ecco la profonda delusione, nei miei occhi ancora da bambino. “Tutto qui? Ma è solo un grande pezzo di latta!”. Mi andò paradossalmente meglio il giorno dopo, nella visita a La Defénse, il più grande quartiere d’affari europeo, tutto grattaceli, uffici e grandi piazze pedonali: questo sì che mi aveva colpito. La delusione della vista della Torre Eiffel era ancora però viva e vibrante davanti ai miei occhi.

inaugurazioneNon sapevo che la delusione provata da me, quasi 110 anni dopo la sua inaugurazione (avvenuta il 31 marzo 1989), in realtà era stata ampiamente condivisa, sia durante la costruzione della Torre, che nei suoi primissimi anni di vita, da tanti, anzi, da tantissimi. È il 14 febbraio 1987 quando, a costruzione già iniziata, viene resa pubblica una lettera, firmata da artisti, intellettuali e letterati, tra cui spiccano i nomi di Guy De Maupassant e Alexander Dumas, che tuona letteralmente contro il proseguo dei lavori per la costruzione dell’obbrobrioso capolavoro di metallo, scelto per accompagnare la decima Esposizione Universale, che proprio nel 1989 si sarebbe tenuta a Parigi. Un obbrobrioso capolavoro di metallo, un felice ossimoro che anche io, bambino, avevo maturato alla vista della Torre. Ma dove sta la magia che mi ero immaginato da casa? Perché questa assurda scatolona di latta dalla forma così strana è diventata così famosa in tutto il mondo? Basta fare qualcosa di grande, per fare qualcosa di magico? Nei due giorni successivi del mio soggiorno a Parigi, ho capito qual era stato il mio errore, e forse anche quello degli artisti firmatari della lettera.

Il giorno dopo siamo saliti sulla Torre, fermandoci purtroppo al secondo piano, perché c’erano dei problemi con l’ascensore per salire al terzo. Ma già a quell’altezza, l’effetto provato era notevole. Ogni città vista dall’alto ha la sua magia: Firenze da piazzale Michelangelo è un’immagine in bilico tra un quadro vedutista e una cartolina; Roma dalla cupola di San Pietro ci appare come filtrata da una macchina del tempo; Londra da Saint Paul o dal London Eye sprigiona tutto il suo fascino urbano e moderno. Ma Parigi vista dalla Torre Eiffel ancora di più.

Sarà per la posizione centrale che occupa la Torre, sarà perché il Trocaderò e l’Almà sulla Senna dall’alto si godono molto meglio che dal basso, sarà perché puoi andare con la vista a caccia della cupola del Pantheon, degli Invalides, del Museè d’Orsay, dell’Arco di Trionfo tutto in un momento; fatto sta che guardando Parigi dall’alto senti salire l’odore dei croissant di Pigalle, respiri l’aria delle tele ancora fresche di pittura di Montmartre, percepisci profondamente anche la modernità di Montparnasse e della Defénse, che resta sullo sfondo, e l’aria verde dei polmoni dei Giardini del Lussemburgo, del Bois de Boulogne o delle Tuileries: raramente tutte queste sensazioni si possono provare in un solo momento.

Ma la magia della Torre Eiffel si gode ancora di più da un altro punto di vista. La si gode quando si prende dimestichezza con Parigi, tanto da poter passeggiare agevolmente per la città e, quando meno te lo aspetti, sullo sfondo compare proprio la Torre di Eiffel. È capitato diverse volte alla nostra compagine nelle giornate successive, nel su e giù tra Montmartre e Pigalle, nell’avvicinarsi agli Champ Elysees, nella passeggiata del Louvre, perfino dal Quartiere Latino. La Torre appariva sullo sfondo, quasi trasfigurata dal cielo grigio parigino, come l’Occhio di Sauron nella Terra di Mezzo: con la sua potente forza attrattiva, perché ti vuole assolutamente attirare a sè, e quando incontri il suo sguardo, ne vieni come calamitato, e senti l’irrefrenabile voglia di andare verso di lei. Niente male, per essere soltanto un “obbrobrioso capolavoro di metallo”.

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