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La Storia in piazza

di Francesca Lacqua

Dobbiamo studiare la natura mutevole dei rapporti tra i due sessi, sia dal punto di vista della realtà sociale sia dal punto di vista delle immagini che i sessi hanno l’uno dell’altro. [Eric Hobsbawm]

Dal 18 al 21 aprile 2013 si è tenuta a Genova la quarta edizione di La Storia in piazza, una punta di diamante tra i festival culturali del nostro paese. Giunta alla quarta edizione (dopo aver affrontato La nascita delle nazioni, L’invenzione della guerra e I popoli in movimento) quest’anno si concentra sul tema attualissimo Identità sessuali – tema che intreccia politica, cultura e la società stessa con quanto c’è di più privato: il bios.
La Storia in piazza riesce a esprimersi senza massimalismi nè bigottismi, senza costruire mitologie di genere. Non utilizza slogan semplicistici e parla a una città in cui proprio in questo periodo il dibattito in consiglio comunale riguardo il registro delle unioni civili è vivo e acceso, tra i molti favorevoli e i grandi contrari. Città che recepisce bene l’evento,  come mostrano le Sale del Maggior Consiglio e Minor Consiglio sempre stracolme e come dimostrano le 19 mila presenze registrate nei quattro giorni.
Cinquantatrè tra storici, antropologi e sociologi di fama internazionale (tra gli altri Erica Jong, Germaine Greer, Lice Irigray, Marina Warner, Yolande Mukagasana, Sabine Fruhstuck, Amanda Wikery, Renato Mannhaimer)  intervengono in  più di 50 eventi. Conferenze, spettacoli, dibattiti, mostre – tutti completamente gratuiti – per comprendere quanto c’è di culturale e quanto di naturale nella costituzione dei sessi, nella loro rappresentazione e nelle loro implicazioni sociali. Quale significato assume il concetto di femminile e maschile a seconda di diverse prospettive storico spaziali? Cos’è la “Gender History”? Avete mai notato che il termine virile, nel senso di  coraggioso, non ha corrispondenza nel genere femminile? Quale ruolo ha avuto nella storia novecentesca la rivoluzione feminile? La “famiglia” è naturale?

L’Accademico dei Lincei Adriano Prosperi focalizza il suo intervento sulla diversità di genere nel momento delle esecuzioni capitali: momento fondamentale nell’immaginario collettivo di Età Moderna in cui mostrando l’imputato “virile” venivano meno le distinzioni di genere. Nei paesi anglosassoni era questo l’atteggiamento da mantenere, mentre in Italia l’esecuzione doveva essere preceduta dal pentimento.  Le donne, non più streghe, sono infanticide da punire pubblicamente perché uccidere un figlio significa sottrarre un suddito a sua maestà e un cittadino al regno dei Cieli.
Storia della sessualità in senso stretto che comprende l’omosessualità maschile e femminile. Da ricordare a tal proposito l’intervento del professore Lorenzo Benadusi, storico dell’Università di Bergamo, che ne traccia una sintesi mirabile dal 1869, atto di nascita linguistica del termine omosessualità, al 1969, anno di nascita dell’orgoglio gay, attraverso l’omaggio alla figura di George Mosse (ebreo omosessuale vissuto durante il periodo delle persecuzioni naziste, il primo ad aver introdotto la “Gender History” e l’idea che il concetto di virilità possa essere metro del mondo contemporaneo). Proprio dell’invenzione e della retorica della virilità ha parlato il professore Alessandro Bellassai, ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Bologna, che si interroga riguardo al ruolo svolto da essa nell’immaginario italiano dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni.  La chiave di volta sta nel comprendere che «il genere maschile ha il privilegio di entrare ed uscire dall’universalità»: non si è abituati a pensare a una storia di genere maschile perché essa coincide con la storia del potere. Anche dopo la rivoluzione femminile degli anni ’60, con la crisi della «natural legittimità ed eccellenza del genere maschile», la virilità intesa come categoria politica continua a trainare, attraverso quei festini già tristemente noti o le strenui  nuotate sullo Stretto, masse maschili (dubbiose) verso il “nuovo mondo” con la promessa di una continua gerarchia di genere.

Rivoluzione femminile che ha assunto, secondo lo storico Marco Revelli, valore periodizzante come termine post quo del ‘900 in quanto prima rivoluzione capillare, laica, non violenta e priva di una leadership. Il lavoro stesso, componente decisiva per decifrare i caratteri qualificanti del secolo breve, è passato dal chiuso sistema fordista a un sistema più  flessibile, attraverso una femminizzazione del lavoro – all’interno del quale è comunque necessaria una ricombinazione dei diritti che si scontrano con nuove forme di sfruttamento, in primis la precarietà in rapporto alle dimensioni della vita.
Francesco Remotti, direttore del Dipartimento di Scienze Antropologiche e Archeologiche dell’Università di Torino e autore di ControNatura, una lettera al papa e L’ossessione identitaria, partendo dai molti e diffusi slogan a favore della “naturalità della famiglia” sostiene che essa sia in realtà una costruzione sociale, culturale e storica. L’idea stessa di “naturalità” sarebbe del tutto vana a partire dall’ambiguità del termine stesso: “naturale” nel senso di istintuale o nel senso di universale e aderente ad un modello vigente? Nella sua realizzazione, la famiglia varia di società in società: dai gruppi domestici matrifocali alle unioni polimigimiche e poligamiche, passando per la figura di Due Spiriti tra gli indiani del nord America, in una stessa società possono convivere diverse tipologie di unione famigliare.

La Storia in piazza non è un’apologia della storia, non sono tante belle intenzioni o discorsi campati per aria. È un’iniziativa che assolve al valore civico della Storia insito nella sua stessa natura: portare lo studium fuori dal circuiti accademici e dare a esso l’aria, il respiro di cui esso stesso ha bisogno e di cui noi stessi ci nutriamo – un respiro mosso da curiosità e sostenuto da un impegno politico durante questi giorni tormentati.
A fronte del risultato, La Storia in piazza è una scommessa vinta dagli enti organizzatori (Fondazione Palazzo Ducale, Centro Culturale Primo Levi, il Comune di Genova e l’Università di Genova). Una scommessa che ha creduto nella libera circolazione di idee come antidoto alle violenze, proprio in giorni di grande tensione politica nazionale. Quest’ultimo passaggio è stato sottolineato da Luca Borzani, curatore dell’iniziativa  insieme a Donald Sassoon e Antonio Gibelli nell’introduzione alla conferenza finale di Alain Touraine, fondatore Ecole des Hautes Etudes en Science Sociales di Parigi, tra i massimi sociologi del nostro tempo, della quale riecheggiano le parole profonde. Davanti a «un’Europa irrimediabilmente destinata alla catastrofe» quello che rimane è un’idea universale  di diritto: pensare, agire e ricostituire istituzioni sociali proprie di essere umano.

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