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La ragazza nella nebbia: l’esordio in regia di Carrisi

È sera inoltrata e nell’ambiente circostante l’oscurità e la nebbia regnano sovrane, attenuate solamente da radi lampioni e dalle luminarie delle festività natalizie incombenti. La sagoma scura di una giovane ragazza richiude dietro di sé la porta d’ingresso della propria abitazione, oltrepassa il piccolo giardino di casa e si incammina lungo la strada: ignara il fatto che, di lì a poco, il destino le impedirà di poter fare ritorno fra le braccia dei propri familiari.

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Questo l’incipit di La ragazza nella nebbia, prima pellicola cinematografica diretta e sceneggiata da Donato Carrisi, famoso per essere uno tra gli autori italiani di romanzi thriller più venduti nel mondo, il quale per il proprio esordio dietro la macchina da presa sceglie la trasposizione del suo omonimo bestseller del 2015. La trama del lungometraggio si concentra intorno alla scomparsa della giovane Anna Lou, adolescente di un piccolo paesino nelle montagne del Trentino-Alto Adige, Avechot – località di pura invenzione dell’autore. Ad indagare sulla misteriosa sparizione viene chiamato l’investigatore Vogel, un uomo cinico, spregiudicato e malato di una patologia che potrebbe essere definita “necessità di protagonismo mediatico”. Il caso è meno semplice di quanto possa sembrare e la vicenda finisce per complicarsi anche a causa della vasta gamma di potenziali colpevoli: c’è la comunità di cittadini di Avechot, con quella strana congregazione religiosa dai rigorosi principi rispettati anche dalla famiglia della scomparsa; c’è il giovane coetaneo di Anna Lou che sembra avere una fissazione morbosa per la ragazza e sente la necessità di riprendere ogni suo spostamento con la telecamera; poi ancora lo psichiatra del paese che ha la passione per la pesca e per l’imbalsamazione di una particolare specie di trota, la cinica ed impudente giornalista e conduttrice televisiva Stella, pronta a fare qualsiasi cosa per uno scoop, ed infine un professore che esercita proprio nella scuola della giovane Anna Lou, sul quale sembrano ricadere più indizi di colpevolezza. Ma ad Avechot nulla è come sembra e le fila degli eventi scorrono attraverso numerosi momenti di suspense fino al grande colpo di scena finale.

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Vari sono i punti di forza della pellicola. In primoluogo il fatto che a portarla sul grande schermo sia stato proprio l’autore dell’opera letteraria: Carrisi infatti riesce a costruire un thriller (o “giallo/poliziesco”, che dir si voglia) dall’impianto narrativo sicuro e saldo, avendo egli pienamente contezza dell’intreccio che vi è alle spalle – unico “neo”, forse, un inutile appesantimento creato dalla serie di flahback e flashforward che alterano l’ordine naturale della fabula. Altro punto vincente sono gli attori, i quali riescono a rendere a pieno gli stati d’animo e le caratteristiche psicologiche dei personaggi che incarnano, immedesimandosi a pieno in essi: in particolar modo, potente è sicuramente la performance dei due interpreti maschili principali. Da una parte troviamo il pluripremiato e versatile Toni Servillo che impersona il detective Vogel, dall’altra nel ruolo del professor Martini ecco invece Alessio Boni, altro “cavallo di razza” nel panorama attoriale italico. Positive anche le interpretazioni del resto del cast, dal quale emergono l’attore francese Jean Reno, chiamato qui a recitare in italiano, e Galatea Ranzi. La personalità della maggior parte dei personaggi che movimentano la vicenda è caratterizzata da una totale assenza di scrupoli: a tal proposito, in qualità di “pezzo da novanta” in tale veste si erge l’investigatore Vogel, rappresentante delle forze dell’ordine che costruisce il proprio metodo di indagine finalizzandolo alla ricerca del colpevole – sia pure un colpevole qualunque – da consegnare non tanto alle mani della giustizia quanto ai media televisivi. Compromette e falsifica le prove per dimostrare le tesi da lui sostenute, organizza interviste e promette esclusive alle testate giornalistiche, opera travestimenti e messe in scena aventi come unico scopo una maggiore visibilità mediatica. Anche la natura della giornalista Stella palesa una donna senza scrupoli, pronta a dare qualsiasi cosa pur di arrivare alla notizia prima della concorrenza. Tutti intenti, anche per deformazione professionale, a raggiungere una qualche forma di verità: ma è proprio il metodo che essi inseguono per raggiungerla ciò che maggiormente li allontana da essa. E, senza dubbio, fine della pellicola è anche questo: evidenziare come ormai la verità non sia più una priorità della società contemporanea, troppo viziata dall’ipocrisia e dagli interessi personali dei singoli, ma anche indurre lo spettatore ad una riflessione circa il rapporto fra indagini e televisione (proprio in un momento in cui, ormai, non si contano più i programmi e gli speciali televisivi dedicati ai principali fatti di cronaca nera).

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A rinforzare il clima di tensione ed inquietudine collaborano, infine, anche gli spazi e le ambientazioni naturali. La scelta di locare il paese fittizio nel Trentino-Alto Adige, con le sue Alpi, i suoi spazi innevati, una nebbia perennemente presente e i caratteristici boschi di conifere può essere vista come un lontano richiamo alle caratteristiche tipiche dei gialli nordici, distinti per le atmosfere plumbee e per ritmi narrativi tutto sommato lenti, senza grandi scene d’azione (come nel caso in questione). Per concludere, dunque, un thriller godibilissimo consigliato sia a chi ha già avuto occasione di leggerne l’omonima opera letteraria, sia a chi non possiede il romanzo di Carrisi nella propria biblioteca personale.

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