Attualità

La protesta accesa. Pensieri sul 30 novembre

di Chiara Franzosi

Trenta novembre, ore 10 e 30. Il corteo degli studenti si spinge lungo Strada Nuova e sosta davanti all’Università. Risuonano le voci nei megafoni. Di sottofondo, le musiche, il battito dei tamburi che accelera, il fruscio dei volantini sparsi in molte mani. Sfilano striscioni con grandi scritte, sopra le teste si sollevano cartelli e manifesti, simili a quelli che da una settimana sono appesi alle balaustre e alle colonne nei cortili accademici. Un cartellone mostra una scritta eloquente: la parola “istruzione” perforata, come dopo una scarica di pallottole.
Anche questa mattina, a Pavia si è messo in moto un grande gruppo di studenti, dottorandi e ricercatori contrari al DDL-Gelmini: una nuova manifestazione continua la protesta intrapresa da mesi – è dall’inizio dell’anno accademico che se ne vedono i fatti: lezioni ritardate, corsi cancellati, assemblee e cortei, occupazioni, blocchi della didattica e didattica alternativa. Oggi, poi, il momento è critico, perché la manifestazione avviene in contemporanea con la discussione della Legge alla Camera. Con l’intento di creare disagio per sensibilizzare l’opinione pubblica, i manifestanti bloccano le strade più trafficate del centro e il Ponte della Libertà: la circolazione è in tilt.
Queste sono le cifre del corteo del 30 novembre a Pavia: appena tre gradi sopra lo zero, ma quattro ore di protesta e duemila manifestanti. I duemila pavesi costituiscono la parte molto piccola di una contestazione più ampia, che si allarga ad altri grandi atenei d’Italia e anche ad alcune città europee. Sono tantissimi i giovani che prendono iniziative con l’obiettivo di bloccare il DDL. Anche se gli interessi degli studenti e dei ricercatori non sono perfettamente coincidenti, il loro dissenso è comune e lo gridano negli slogan: “No alla distruzione dell’Università pubblica”, “No al precariato”, “Diritto allo studio”, “Riforma sì ma non così”.
Più si va avanti, più la partecipazione alla protesta cresce. Per molte persone, però, la situazione appare ancora confusa e mal definita. Anche se ci si impegna a seguire attentamente i movimenti che agitano le Università, c’è l’impressione di poca chiarezza tanto riguardo alle motivazioni di fondo ad alcune proposte del Disegno di Legge, quanto riguardo alle ragioni della conseguente protesta – la quale, se a Pavia i cortei sono pacifici, non tarda a farsi violenta nelle città più grandi. Certo, un dissenso così agguerrito permette di avvertire che, ora più che mai, una grande minaccia grava sull’Università e sulla cultura libera, insieme all’incertezza riguardo al futuro di una generazione intera (davvero sacrificabile per il bene di quelle successive?).
L’atmosfera è impregnata di urgenza. Eppure, le radici primordiali di questa protesta accesa sembrano sfuggire. Come se ciò non bastasse, ci si accorge di essere in un’insopportabile situazione di stallo: si continuano a discutere le possibilità e a formulare emendamenti su emendamenti, senza giungere a una conclusione decisiva. Si attende una nuova data e ci si ferma al “si vedrà”. Nel frattempo, gli studenti organizzano un’altra occupazione, prendono parte a un nuovo corteo, bloccano un’altra strada. Mentre le decisioni continuano a essere rimandate al futuro. Ma il futuro non è ora?

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