Attualità

La moda sostenibile è per tutti

Oggi l’aggettivo “sostenibile” viene ampiamente utilizzato in diversi settori di beni di consumo e, come accade da sempre, l’incremento dell’utilizzo è accompagnato man mano da una maggiore confusione e dalla perdita di significato della parola stessa. Cosa indica, allora, la sostenibilità? Come mai è così presente nei programmi di sviluppo che si definiscono all’avanguardia? Cosa cambia nell’industria della moda?

Sostenibilità nell’industria e nella moda

L’enciclopedia Treccani definisce la sostenibilità in questi termini: «condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri».
Il termine fu citato nel 1972 alla prima conferenza dell’ONU sull’ambiente, per essere poi ripreso nel rapporto Brundtland della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, in cui nel 1987 venne esplicitato il concetto di sviluppo sostenibile, oggi paradigma dello sviluppo stesso.

Dalla fine degli anni Novanta ad oggi, la ricerca ha permesso il potenziamento delle competenze e tecniche in ottica di sviluppo sostenibile in diversi settori, compresi quelli considerati maggiormente dannosi per il nostro ecosistema. Tra questi, l’industria della moda, che dietro a merletti, brillanti, modelli e fantasie affascinanti, ha nascosto tanti orrori da poter creare un book interamente dedicato. Sfruttamento e maltrattamento di animali, ma anche di persone, uniti a processi inquinanti e dispendiosi in termini di spreco di risorse, a discapito non solo dei diretti interessati, ma di tutto il mondo, in virtù del meccanismo causa-effetto che non ha confini.

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(Foto via Retviews.com)

Data la consapevolezza della criticità della situazione, negli ultimi anni numerosi marchi di alta moda, ma anche piccoli imprenditori, hanno reinventato i processi di rifornimento, produzione e distribuzione per migliorare l’impatto dei prodotti tanto sul piano etico quanto su quello ambientale.
Anche la promozione delle innovazioni non manca, e perciò siamo circondati da messaggi a favore della sostenibilità e da brand che si presentano a noi nei panni dei buoni, con prodotti (almeno apparentemente) a zero impatto ambientale.
Si parla di moda naturale, green, ecosostenibile, vegan, circolare. Tutte parole che sono anche hashtag frequenti, perché attributi di una tendenza nata qualche anno fa e non ancora in declino, se non per difficoltà legate principalmente al particolare momento che stiamo vivendo.

Falsi miti e convinzioni

È naturale chiedersi, se la moda sostenibile è migliore per il benessere delle persone, degli animali e dell’ambiente, perché sia solo una nicchia e non uno standard. Oltre ai più profondi motivi economici, vi è sicuramente anche una questione di accessibilità e preconcetti.
Nonostante lo sviluppo sostenibile vada a vantaggio della collettività, sono ancora tante le persone che non ne fanno una questione personale e perciò non si interessano dei processi e delle dinamiche dietro al prodotto, preoccupandosi solo delle proprie esigenze in una prospettiva egoistica e, purtroppo, tipicamente umana. Inoltre, la concretizzazione del concetto di moda sostenibile implica da parte dei produttori un impegno e un’attenzione maggiori, che si traducono spesso in costi elevati e perciò accessibili solo per una fetta della popolazione.

La restrizione si accentua ancor di più se all’indifferenza e all’indisponibilità si aggiunge una questione di superficiale preferenza, basata sull’idea che sostenibile significhi automaticamente brutto o di qualità inferiore, o di miscredenza. Sono ancora in tanti, infatti, a credere che la sostenibilità sia solo una parola e non porti cambiamento, a causa dei vari casi di greenwashing (ovvero ecologismo di facciata) che hanno minato la fiducia dei consumatori. Tuttavia, i motivi per ricredersi non mancano.

Oggi chi produce capi d’abbigliamento e accessori sostenibili lo fa consapevole dell’importanza estetica degli stessi, perciò la cura per il design è implicita. Il vintage si trova più facilmente nei negozi di seconda mano, ma non è l’unico stile presente, così come i prodotti rigenerati non sono sempre e solo basic. Anzi, è possibile trovare prodotti sostenibili particolari e fruibili in diverse occasioni, anche eleganti. Ne sono un esempio i capi di Fili Pari, una start up nata dalla collaborazione tra Alice Zantedeschi e Francesca Pievani che ha portato alla creazione di un’azienda che mette in relazione il settore tessile e lapideo, “utilizzando i prodotti ed i sottoprodotti delle industrie della pietra italiani, trasformando lo scarto in opportunità nel pieno rispetto dell’economia circolare”.

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(Foto via Filipari.com)

Per quanto riguarda il prezzo, non si può dire che la moda sostenibile sia low cost, ma nemmeno totalmente fuori portata. Siamo ormai abituati ai prezzi irrisori offerti dal fast fashion, che non deve sottostare a particolari vincoli, permettendosi di usufruire di tecnologie meno costose e affidandosi a meccanismi standard e, di conseguenza, di offrire prodotti a prezzi bassissimi. Al contrario, quando si parla di sostenibilità vanno considerati i limiti imposti dall’etica alla base della sostenibilità stessa, e le peculiarità tecniche e metodologiche ancora poco diffuse, spesso più complicate e sicuramente più impegnative, che incidono anche sul prezzo di listino. Tuttavia, nella comparazione va sottolineato il diverso obiettivo commerciale dei due modelli per comprendere a pieno il valore del prodotto ecologico. Il fast fashion punta al consumo, alla sostituzione, mentre è implicita nella prospettiva sostenibile la durevolezza dei prodotti, il loro riuso e il loro riciclo.

Action

Quali sono, dunque, i marchi a cui potersi affidare per supportare questa tendenza, affinché diventi qualcosa di più? Come sapere di chi fidarsi davvero?
Un primo approccio potrebbe essere il controllo dei materiali utilizzati, facilmente rintracciabili sia in caso di acquisto nei negozi fisici, sia online tra i dettagli del prodotto. I brand sostenibili, infatti, utilizzano solo fibre naturali, artificiali o sintetiche rigorosamente ecologiche.
Le fibre naturali derivano direttamente da una materia prima vegetale o animale, come la lana e il cotone, ma anche la juta, il lino, il sughero o il tirolwool. Alcune di queste, in particolare la lana, il cotone, e la canapa, ma anche la seta e il cashmere, possono essere biologiche, ovvero di origine organica. In questo caso avranno la certificazione GOTS (Global Organic Textile Standard), applicabile solo a tessuti naturali a garanzia di un totale rispetto di persone, animali e ambiente in ogni passaggio del processo di creazione del tessuto.
Diverse sono le fibre artificiali, che sono di origine naturale ma vengono poi realizzate in laboratorio. Si tratta ad esempio di bamboo, bioplastica, lyocell, o anche Tencell, Ornage Fiber e Lanital, che sono anche veri e propri marchi controllati.
Totalmente differenti sono invece le fibre sintetiche, che si ottengono dal riciclo di materiali derivati da prodotti petroliferi. Rientrano in questa categoria il Newlife, l’Econyl o la pelle vegana.

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(foto di Ravi John Smith via Dreamstime.com)

Per ciascun gruppo esistono diverse certificazioni, oltre alla GOTS, che si possono reperire facilmente online. Una volta che si ha presente cosa cercare, bisogna solo scoprire dove. Per fare questo esistono diverse piattaforme che fungono da motori di ricerca per negozi online e locali in cui trovare moda sostenibile. Il mese di gennaio è un periodo perfetto, perché si può usufruire degli sconti, ma al contempo è utile conoscere i negozi locali e online che offrono una gamma di prodotti variegata.
Su Renoon esiste anche una classificazione per livello di sostenibilità, ma altri siti utili sono Good On You, o Eco Fashion by Vesti la natura, mentre su Il vestito verde si possono trovare informazioni più approfondite e aggiornamenti sul tema.
Se si vuole andare più sul sicuro, invece, si possono cercare i marchi di fiducia impegnati nello sviluppo sostenibile, come Patagonia, EILEEN FISHER, Sézane, o Levi’s.

Da non disdegnare sono anche le marche che non sono del tutto sostenibili, ma si stanno impegnando per cambiare rotta. Sempre più spesso si tratta di marchi accessibili alla maggioranza della popolazione, che vanno sostenuti proprio per contribuire al loro progresso. Tra queste va citata sicuramente Adidas, che ha recentemente sponsorizzato una campagna con l’hashtag #EndPlasticWaste, istituendo una partnership con Parley per ridurre il proprio impatto ambientale con l’obiettivo di utilizzare solo poliestere riciclato entro il 2024. Altri marchi con linee dedicate sono H&M, che ha collaborato anche con IKEA e Stora Enso per la creazione di TreeToTextile, ma anche Puma, Benetton, Zara, OVS, Asos (EcoEdit, Monki) o Zalando, che in tempi di saldi, come nel mese di gennaio, sono davvero alla portata di chiunque.
Non ci sono più scuse. Tutti possiamo fare la nostra parte.

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