Cultura

La mia Sudafrica. Intervista a Fabio Tavelli

di Simone Lo Giudice

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“Ciao Fabio!”. Gli ho dato del “tu” sin dall’inizio, non posso tirarmi indietro proprio adesso. Sul piccolo schermo l’ho ascoltato, per Facebook l’ho contattato, di persona l’ho conosciuto. Teneva tra le mani la sua piccola creatura: un diario di bordo concepito nei 40 giorni del suo terzo Mondiale seguito per professione (parlare di passione sarebbe pleonastico in questa sede). Si intitola La mia Sudafrica (forse ai cinefili fischieranno le orecchie) ed è ciò che batti sulla tastiera quando ti accorgi di non essere più un ragazzino.

Primo mercoledì ottobrino, Libreria Feltrinelli in Pavia, sezione arte-spettacolo. Al centro Fabio Tavelli, alla sua sinistra Gigi Garanzini (il suo collega del recente passato, il suo modello senza tempo) e alla sua destra Tania Zamparo (attuale compagna di lavoro a Sky Sport 24). Johannesburg è lontana quasi 10.000 km e la Spagna è campione del mondo da quasi tre mesi. Eppure il ricordo tavelliano è più fresco dell’inchiostro riversato sul diario di bordo: dai dubbi della vigilia pre-partenza alla descrizione del residence Bakara per soli bianchi (nella zona sudafricana di Bassonia), fino all’obbligo di aspettare il driver di turno a lavoro giornaliero ultimato (“…perché lì da solo non puoi gironzolare liberamente…”). Il calendario mondiale si snellisce un po’ e arriva quel mercoledì 30 giugno 2010: biciclettata a Soweto, sud ovest di Johannesburg, una città nella città, una moltitudine di bambini con gli occhi sorridenti, con le mani spalancate per darti un “5” mentre gli passi accanto, con lingue indaffarate a chiederti “how are you?”, come se familiarizzare con i turisti sia semplice routine. E quando la bici resta al palo, c’è il museo dell’apartheid (“…politicamente superato e socialmente insuperato…”) pronto a svelarti come si sia inciampati in un simile presente: un luogo che trasuda storia recente con il puro intento di raccontare, senza farti mai vergognare di essere uno sporco bianco.

La mia Sudafrica è un pranzo a base di esperienza umana, professionale e non solo. L’analisi tecnica del mondiale può accomodarsi in tribuna, in campo va la testimonianza di quanto il motore-calcio possa fare bene alla storia degli uomini, intenti a progettare le fondamenta di un futuro migliore. È Africa, non solo Sud Africa: titolo corsivo a pagina 22 del diario di bordo. Così la collega ugandese Jane Kasumba ha risposto al nostro Fabio: “Vedi, per noi è diverso. Io sono nata in Uganda e la nostra nazionale non ha mai partecipato alla fase finale dei campionati del Mondo di calcio. Eppure tutto il mio Paese è in festa perché pensa che questo evento sia di tutti gli africani… io mi sento prima di tutto africana. E poi ugandese…”. Grazie al Mondiale qualcosa è cambiato. E io ho avuto il piacere di parlarne con Fabio, magari pensando anche alla prossima avventura. Del resto “…il Brasile dista solo 4 anni”: così leggo a pagina 118, nell’ultimo foglio del diario di bordo.

Inchiostro – Aprendo il viaggio: il tuo primo fotogramma sudafricano appena sceso dall’aereo.

Fabio Tavelli – Il cartellone con Nelson Mandela che saluta tutti gli arrivati al Tambo International Airport di Johannesburg… con una scritta anche in italiano, forse in onore dei campioni del mondo, ma con una scritta che era sbagliata. Ma a parte questo, è un arrivo dopo un lungo viaggio con la sensazione (beh intanto faceva un freddo cane perché era inverno)…la sensazione di essere in un posto fantastico da un punto di vista umano, orribile da un punto di vista paesaggistico (Johannesburg è forse la più brutta città sudafricana), con tutta una serie di implicazioni, di situazioni che andavano oltre l’aspetto calcistico… il piacere di aver raccontato un mondo, non solo quello che andava in televisione o andava sui giornali, ma quello che io vivevo quotidianamente in questi quaranta giorni di esperienza.

Nella tua presentazione, hai parlato dell’importanza di scrivere oggi per ricordare domani. Che cosa resta di questo Mondiale?

Guarda, resta nella mia esperienza personale quello che ho scritto, nel senso che ho sentito forte la necessità di mettere sulla carta un qualcosa che invece quotidianamente, tra internet e la televisione e la radio e i nuovi media e tutto il resto, spesso si perde. Rileggendolo ho ritrovato dei momenti che avrei fatalmente dimenticato. Cioè un piatto di bucatini in un ristorante, dopo 20 giorni di carne, lo avrei certamente dimenticato. Invece se penso a quella sera in un ristorante chiamato Vera Vita, penso che è stato davvero un momento importante per me. Se penso al museo dell’apartheid, se penso alla biciclettata a Soweto, se penso all’essere andato al Soccer City Stadium da spettatore e aver visto una partita dell’Argentina e aver quasi solo guardato Maradona in panchina… sono tutte cose che il tempo, i bambini, il lavoro e tutto il resto avrebbero cancellato… e invece ho voluto scrivere per ricordarli.

Ma è più facile sopravvivere ai luoghi comuni, che ti sconsigliavano di andare a Johannesburg, oppure all’inverno australe?

No, all’inverno australe si sopravvive con una copertina e ti assicuro che il cielo è meraviglioso ed è un cielo che invidio… oltre tutto di giorno si stava anche intorno ai 18 gradi, ai 20 gradi… quindi insomma la sopravvivenza era garantita. Dai luoghi comuni bisogna difendersi e bisogna sempre diffidare, cioè non è sempre tutto vero quello che viene nascosto dietro un luogo comune. Se è un luogo comune non significa che sia vero al 100%… sbugiardare un luogo comune trovo che sia un ottimo servizio reso alla collettività.

E’ stato un Mondiale dai suoni esotici e dai colori arcobalenici. Sono più abbaglianti le tribune o sono più fastidiose le vuvuzela?

Le vuvuzela sono… io non ne ho parlato in fase di presentazione, ma è stata una mia guerra quotidiana, una roba!… eppure ti dico, te lo posso garantire… mi sarei sempre opposto alla loro cancellazione… quando ho letto: vogliono abolire, vogliono impedire le vuvuzela… io ho detto: mi danno talmente fastidio, ma sono una caratteristica del loro popolo… toglierle sarebbe stata una violenza. Nel football americano, gli arbitri a volte chiamano “unnecessary violence”, violenza non necessaria… non era necessario fargli anche questo.

L’Africa ha sfiorato la semifinale proprio al Soccer City di Johannesburg, dove l’Uruguay ha avuto la meglio sullo sfortunato Ghana. Il tuo ricordo di quella serata.

Io ho visto quella partita, non ho visto dallo stadio i supplementari perché dovevo lavorare e avevo un collegamento… credo che se avessi vissuto quel calcio di rigore sbagliato lì dal vivo… facevo molto il tifo per loro perché vedevo come loro speravano, perché si chiamano “fratelli”… vedere che all’inizio l’Algeria andava male, lo stesso Ghana faceva fatica, il Sudafrica è uscito, il Camerun pure, la delusione della grande squadra come la Costa d’Avorio, insomma… era davvero il Mondiale africano e quindi se il Ghana fosse riuscito ad andare anche più avanti, sarei stato contento.

Loro erano una squadra per un continente…

Erano una squadra un continente ed è clamoroso perché i popoli africani da sempre si combattono, si fanno guerre sanguinose, forse dal giorno in cui è finito il Mondiale sono tornati a detestarsi… però in quei 40 giorni erano veramente un popolo e questo gliel’ho anche un po’ invidiato devo dire… Noi non saremo mai tanto europei quanto loro sono africani, temo non riusciremo a vivere a sufficienza per essere così integrati a livello di unione europea.

Grazie alla Spagna, l’Europa ha vinto “fuori casa”. Quanto conta il “fattore continente”?

Niente, secondo me niente. Perché il Mondiale in Sudafrica era giocato nelle migliori condizioni climatiche possibili… freddo, a calcio si gioca bene quando fa freddo… quindi i Mondiali falsati sono quelli tipo in Messico, tipo negli Stati Uniti, dove faceva troppo caldo… quelle sudafricane era condizioni perfette, ha vinto la squadra più forte, non centra nulla il fatto che si giocasse sopra o sotto all’equatore… guarda questi sono i luoghi comuni, sono delle balle.

Tra la sparagnina Spagna e la guizzante Olanda, quale squadra preferivi?

Guarda, sparagnina perché faceva pochi goal, ma ti assicuro che giocava a pallone in una maniera clamorosa… e devo dirti che la Spagna giocava come la vecchia Olanda… io poi ho anche scritto questa cosa: gli Olandesi che sono arrivati in finale erano gli Olandesi poco criniti, mentre invece gli Olandesi del ‘74 erano i capelloni, gli hippy, ma è cambiato tutto… l’Olanda aveva solo il nome della grande Olanda… nella nazionale di Van Marwijk coesistevano dei grandi giocatori con degli scarsi assoluti e anche cattivi, basta vedere il solo De Jong… l’Olanda ha solo picchiato in finale e ha vinto meritatamente la Spagna, che era una grande squadra, non ti fare ingannare dal fatto che vincesse sempre uno a zero, sempre con gli stessi giocatori in goal… va bene tutto, si può vincere anche uno a zero giocando bene… e la Spagna ha meritato di vincere.

Chiudendo il viaggio: il tuo ultimo fotogramma sudafricano appena prima di risalire sull’aereo.

La mia ultima immagine… è stato di vedere le facce dei colleghi, i racconti di persone che magari erano state in giro per il Sudafrica e ci siamo dati tutti appuntamento al Tambo International Airport e quindi ognuno portava la sua piccola esperienza. Tutti avevamo voglia di tornare, ti assicuro, stare lontano dalle bambine, da tua moglie, dagli affetti per 40 giorni… e stare così lontano… a me colpisce ancora… e comincerò a preoccuparmi il giorno in cui dovesse mancarmi un po’ meno la mia famiglia… spero che mi manchi sempre tanto.

Grazie Fabio.

A te grazie.

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