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“La luce sugli oceani” ha quasi lasciato il segno

La luce sugli oceani non è il tipo di pellicola adatto a trascorrere una serata con leggerezza, ma questa è una premessa scontata; forse, però, ci si aspettava una pesantezza gestita in maniera più accorta. Fra indubbi punti di forza e opportunità colte non al meglio, il prodotto di Derek Cianfrance, presentato il 1° settembre 2016 alla Mostra cinematografica d’arte internazionale di Venezia, è comunque un’opera degna di particolare attenzione.


La sceneggiatura, tratta dal romanzo di debutto di M. L. Stedman, adattata dallo stesso regista, tratta un dramma sentimentale moralmente dilemmatico in grado di tenere alta l’attenzione fino alla fine.
Tom (Michael Fassbender) e Isabel (Alicia Vikander) abitano in completa solitudine come guardiani di un faro di un isolotto australiano. Isabel è distrutta dall’impossibilità di portare a termine le gravidanze; quando però una scialuppa contenente il cadavere di un uomo e una neonata ancora in vita raggiunge casualmente il faro trasportata dalle onde, la donna convince il marito ad adottarla, facendola passare per loro ed evitando di segnalare l’accaduto alle autorità. Successivamente la famiglia si reca sulla terraferma per il battesimo della piccola e, in questa occasione, Tom viene a conoscenza di una donna, Hannah (Rachel Weisz), afflitta di fronte a una lapide recante i nomi di suo marito e della loro figlia, dispersi in mare esattamente il giorno prima dell’arrivo al faro della neonata.


L’idea di base è evidentemente di qualità elevata, con la promessa di un
climax drammatico molto affascinante. Peccato che il ritmo, soprattutto nella prima mezz’ora, tenda a rallentare esageratamente la storia. È comprensibile la volontà del regista di presentare al meglio i protagonisti e l’inesorabile declino della loro felicità coniugale, ma il prologo è davvero in ripida salita e rischia di compromettere l’attenzione dello spettatore per tutto il resto della proiezione, salvo recuperarla con una scena di forte impatto, che però tarda ad arrivare. Per il resto non vi sono che pochi picchi notevoli, con la pellicola che si mantiene sugli stessi livelli qualitativi per tutta la durata, raramente arricchita da scene con dialoghi o esercizi registici particolarmente brillanti.


A migliorare sensibilmente il contenuto ci pensano prima di tutto gli attori, offrendo
prestazioni di tutto rispetto. Fassbender veste impeccabilmente i panni di un uomo in preda ai sensi di colpa, dimostrando di essere fra gli attori più in forma di Hollywood, così come la Weisz, sempre più che convincente. Ma è soprattutto Alicia Vikander a stupire, con una prova decisamente coinvolgente che conferma il plauso della critica per la sua interpretazione in The Danish girl, conferendo un apporto emotivo vitale e sincero, nonostante il ruolo particolarmente complesso e sfaccettato.


In secondo luogo, le due ore abbondanti del lungometraggio sono impreziosite dalla
meravigliosa ambientazione e dall’ottima colonna sonora, scritta da Alexandre Desplat. I paesaggi suggestivi delle scogliere australiane e neozelandesi giocano una parte importantissima, amplificando la drammaticità grazie agli eventi climatici. Allo stesso modo, Desplat non tradisce le aspettative e sforna l’ennesimo pregevolissimo lavoro di alta qualità, a tratti davvero memorabile, contribuendo in modo fondamentale alla resa emotiva dell’opera.


Dopo avere elencato una serie davvero convincente di pregi, verrebbe naturale chiedersi
perché allora questo The light between oceans non sia un’opera in grado di ritagliarsi un posto più che decoroso nella storia del cinema. La verità è che la sceneggiatura e la regia incidono considerevolmente su questo prodotto, trasformando un potenziale capolavoro in un film “solamente” buonissimo, ma non in grado di risultare memorabile. Sia chiaro, una volta raggiunti i titoli di coda si avvertirà la tipica sensazione di smarrimento emotivo e commosso che questo tipo di film lascia nell’animo dello spettatore, dimostrando che il film riesce senza alcun dubbio a centrare il bersaglio, tanto che ci si sente senz’ombra di dubbio di consigliarlo. Purtroppo, però, il senso critico deve operare in maniera asettica, portando alla luce il parziale fallimento di Cianfrance, il quale, pur avendo fra le mani una grande possibilità, finisce per non riuscire a concretizzarla in maniera dovuta.

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