AttualitàSenza categoria

La libertà in Iran tra proteste e arresti


A distanza di quasi cinquanta giorni dalla prima scintilla, il movimento si è trasformato oggi in un incendio. È un grido sempre più acuto da silenziare quello dei protestanti in Iran, riacceso dalla tragica scomparsa di Mahsa Amini lo scorso 16 settembre. Le proteste in oggetto, ormai capillarmente diffuse e interessanti all’incirca 200 città, sono ora accostate a un aumento di scioperi dei lavoratori all’interno dei settori industriali. La condanna delle Nazioni Unite e le sanzioni imposte da diversi paesi occidentali aventi rapporti con Teheran non sembrano essere state sufficienti ad arginare la violenza come risposta a queste manifestazioni, messa in atto dalle autorità.

La morte di Mahsa Amini non è stata causata da percosse: è quanto si legge nel comunicato dell’Organizzazione di medicina legale di Teheran. La ventiduenne di minoranza curda ha perso la vita dopo essere stata arrestata e brutalmente aggredita dalla polizia morale, per aver indossato il velo in modo non conforme alla legge. La sua, è anche la storia di tante altre. A poche ore dal suo arresto la giovane è stata ricoverata in coma ma secondo l’autopsia avrebbe «perso improvvisamente conoscenza» e  sarebbe successivamente «caduta a terra». Al contrario di quanto sostenuto, la famiglia ha dichiarato che la ragazza non soffriva di alcuna patologia. 

Protesters shout slogans during a demonstration following the death of Mahsa Amini in Iran, in Istanbul, Turkey, October 2, 2022. REUTERS/Dilara Senkaya/File Photo
FILE PHOTO: Protesters shout slogans during a demonstration following the death of Mahsa Amini in Iran, in Istanbul, Turkey, October 2, 2022. REUTERS/Dilara Senkaya/File Photo

Il suo decesso sembrerebbe rappresentare un pretesto per un malessere però ben più diffuso, che potrebbe aver virato verso una rivolta direttamente orientata contro il regime teocratico che governa l’Iran. La morte di Mahsa Amini è avvenuta in un momento di forti tensioni all’interno della società civile, dopo che il 15 agosto il presidente Ebrahim Raisi aveva firmato un decreto volto ad intervenire sul codice di abbigliamento femminile, con una lunga lista di prescrizioni. Continuano in tutto il mondo le manifestazioni di solidarietà: solo pochi giorni fa circa 80 mila dimostranti hanno marciato per le strade di Berlino chiedendo nuove sanzioni internazionali e scandendo lo slogan: “Donne, vita e libertà”.

La polizia religiosa iraniana fu istituita ufficialmente nel 2005 dopo l’elezione a presidente di Mahmoud Ahmadinejad. Il nuovo corpo di polizia fu messo sotto il controllo del ministero della Cultura che ancora oggi si occupa di, per così dire, proteggere l’etica e i valori iraniani, molto spesso attraverso la censura. La Gasht-e Ershad ha il potere di arrestare le donne non propriamente vestite e di portarle in un centro di polizia o nel cosiddetto centro correzionale, dove vengono istruite su come devono comportarsi e vestirsi stando alle regole morali. In alcuni casi le punizioni per le violazioni delle regole possono includere multe, carcere o flagellazione e sono inoltre  numerose le denunce di abusi da parte della polizia durante l’arresto o la detenzione nei centri. La polizia morale si occupa di far sì che il codice di abbigliamento per le donne venga rispettato.
Il codice in oggetto venne introdotto all’indomani della fine della Rivoluzione islamica in Iran nel 1979, che trasformò il paese in una repubblica islamica sciita. La religione in Iran oggi è infatti dominata dalla variante sciita duodecimana e solo meno del 10% della popolazione è ritenuta invece sunnita: quella che segue a tal proposito è una distinzione di importante rilevanza. Lo sciismo possiede un carattere assimilabile ad un clero, con una gerarchia ben definita che vede al vertice gli ayatollah, considerati il riflesso di Allah sulla terra. Il sunnismo invece presenta autorità religiose, il cui peso politico è limitato e la cui gerarchia interna è molto meno marcata.

Ma non si tratta solo del diritto di non indossare l’hijab. Si tratta della libertà di essere, di decidere su noi stessi e il nostro corpo, di opporsi alla discriminazione e far valere il diritto a una vita autodeterminata. Il velo legale in Iran va visto per quello che è: uno strumento totalitario di oppressione femminile. Parlare di donne e di Islam non può che sollevare questioni spinose, che mettono in discussione le fondamenta stesse del nostro modo di concepire la democrazia, la religione o più banalmente la modernità. Parlare di donne e di Islam in Iran è ancora più insidioso. Questo perché la passata rivoluzione che ha vissuto l’Iran si è conclusa con l’instaurazione di una “Repubblica Islamica” che implica valori e norme in contraddizione con qualunque aspirazione all’emancipazione femminile. 

protesta

È opportuno ricordare però che l’Islam è soltanto una delle componenti che costituiscono l’universo culturale di una nazione.  L’Islam del 1979, a differenza dell’Islam ufficiale degli anni Ottanta e Novanta, era per le donne simbolo di libertà e innovazione piuttosto che di regressione. Il processo di islamizzazione adottato da Khomeini e dai suoi seguaci negli anni Ottanta ha irrimediabilmente compromesso l’originale visione della religione musulmana, serpeggiandone nel paese una tremendamente fondamentalista che non ammette interpretazione. 

Le proteste che hanno travolto l’Iran tuttavia non chiedono solamente la fine delle imposizioni relative all’abbigliamento femminile. I manifestanti chiedono l’abolizione della polizia religiosa, la libertà di espressione e d’informazione ma anche massicci cambiamenti e riforme da un punto di vista politico ed istituzionale. Per l’Iran, le difficili condizioni economiche e infrastrutturali non sono cosa nuova. Provocate sia dalle sanzioni che dalla cattiva gestione da parte delle autorità iraniane, tali condizioni continuano a essere il detonatore di trasversali proteste in tutto il paese. A tal proposito, sono già state organizzate dimostrazioni a livello nazionale come critica alla insufficiente risposta da parte dell’amministrazione del Presidente alla spirale inflazionistica.Al contempo, il caldo estivo ha riportato alla luce un altro problema ormai radicato: quello della scarsità d’acqua. Sia i cambiamenti climatici che le pessime condizioni delle infrastrutture idriche hanno infatti portato a situazioni di grave scarsità di acqua in diverse province. È evidente quindi che la situazione socio economica rappresenti la principale minaccia per la stabilità della Repubblica Islamica. Di fronte ad un aggravamento della situazione macroeconomica e una mancata risoluzione della questione nucleare, riesce facile pensare che possano emergere altre considerevoli ondate di protesta popolare nel breve termine.

L’unione sociale, il supporto estero, l’entità delle proteste attuali e l’impulso legato a istanze di rivendicazione dei diritti civili hanno senza dubbio reso l’attuale ondata di manifestazioni sostanzialmente diversa, per esempio, da quella di stampo esclusivamente economico del 2019. Ciononostante, le varie fasce della popolazione toccate dalle problematiche sopracitate, sembrano rimanere scollegate non riuscendo così a creare una fusione in grado non solo di superare la violenta repressione messa in atto dal regime, ma anche di ottenere delle risposte nel concreto.La frustrazione di decenni di discriminazione, repressione, fondamentalismo e disuguaglianze ha superato ogni linea etnico-geografica, esplodendo in un unico boato. E di fronte ad una transizione generazionale, che vede i giovani a capo di queste proteste, pare inevitabile pensare e sperare che questa volta si abbia un impatto anche sul piano politico e istituzionale. Che queste grida possano tradursi in dolci sussurri, che l’imposizione possa lasciar spazio alla scelta e che l’Iran possa vedersi un giorno libero dalle catene di un regime all’insegna di un imposto, accondiscendente silenzio. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *