Interviste

La leggerezza di Giorgio Gaber

Tutti conosciamo Faber, Guccini, De Gregori, i grandi cantautori di qualche decina di anni fa. Giorgio Gaber rimane sempre in sordina, nei licei non si conosce, è un nome spesso estraneo ai più giovani. Per questo motivo il nipote, Lorenzo Luporini, gira le scuole per la divulgazione e la valorizzazione della figura e dell’opera dell’artista grazie alla Fondazione Giorgio Gaber, nata nel 2006. Il 19 marzo alle h 21 il Collegio Ghislieri ha ospitato una sua lezione sul nonno. L’evento è stato organizzato da Vittoria Panzeri, alunna del collegio e ne abbiamo approfittato per porgli alcune domande.

Cosa significa essere nipote d’arte?

Significa che prendi la parte buona senza prendere la parte negativa, nel senso che i figli d’arte hanno attenzione, pressione, vengono confrontati con i rispettivi genitori, e tutto ciò in qualche modo è sgradevole perché devono dimostrare e rappresentare un nome. Invece nel mio caso ho solo le cose positive, quindi posso concentrarmi sul divulgare la sua figura di artista e lo posso fare nelle scuole e in contesti come questi.

Chi era il Signor G nella vita privata?

Un uomo molto essenziale, molto normale, nel senso che non era una rockstar, non beveva, non faceva grande festa. L’unico vizio che aveva era il fumo. Era una persona molto perbene, ma io l’ho conosciuto poco perché è venuto a mancare quando avevo solo 8 anni.

Perché molti giovani di oggi sono ancora legati ai grandi cantautori del passato senza averli vissuti?

Perché mentre gli arrangiamenti cambiano e la musica cambia con gli arrangiamenti, il fatto di parlare di persone, amicizie, socialità, sentimenti, slanci, ideali, resta sempre abbastanza oltre il tempo. Con un linguaggio musicale un po’ più antico magari è più faticoso approcciarcisi, ma il contenuto resta molto attuale.

Chi può essere l’erede di Gaber?

Brunori Sas è un cantautore calabrese che mi piace molto, e poi Willie Peyote, un rapper che dice cose molto importanti.

Qual è la canzone che ti piace di più?

L’illogica allegria perché parla di una cosa che non ha veramente tempo: una sensazione di attaccamento alla vita che ti capita nei momenti più stravaganti. E poi Buttare lì qualcosa, racconta un concetto molto bello che è quello di donare qualcosa al prossimo senza la pretesa di avere niente in cambio.

Nella canzone la libertà tuo nonno dice che la vera libertà è partecipazione. Che valore ha questa frase oggi?

La partecipazione di Gaber in quella canzone ha due binari: uno è privato ed essenziale, di partecipazione alla propria vita; il secondo è quello di partecipare alla vita di tutti. Penso che partecipiamo molto alla nostra vita privata oggi e penso che manchi un po’ uno sguardo al bene comune. Originariamente Gaber e Sandro Luporini (mio prozio) avevano pensato di scrivere che la libertà è spazio di incidenza sulla propria esistenza proprio per affermare che la libertà si deve vivere nella propria vita privata ma anche in ciò che riguarda tutti.

Una delle canzoni più famose è Io non mi sento italiano. Tu ti senti italiano? E lo sei purtroppo o per fortuna?

Io mi sento italiano, viareggino, europeo, mondiale… Mi sento italiano e abbastanza fortunato, ma anche la canzone finisce con “per fortuna” e non purtroppo, quindi c’è speranza e attaccamento verso il proprio Paese.

Tua nonna Ombretta Colli era notoriamente berlusconiana, mentre tuo nonno era dichiaratamente di sinistra. Nella vita privata si è mai affrontato questo eventuale contrasto? Se sì in che modo? Oppure non si affrontava e si viveva la vita politica separatamente da quella privata?

Nel privato direi che non c’era niente di contrastante, mio nonno diceva: “La politica ha bisogno di brave persone e mia moglie è una brava persona, quindi io vado a votarla”. Il loro rapporto di coniugi superava gli ideali ma si attaccava al fatto che se si ha fiducia in chi ci sta accanto, sarebbe assurdo andargli contro. Nonostante avessero idee molto diverse mio nonno l’ha sempre supportata… e sopportata.

Gaber diceva, in una delle sue più belle canzoni, di insegnare ai bambini solo la magia della vita e il sogno di un’antica speranza. Se dovessi provare a spiegare come questa magia si è manifestata, cioè i valori primi ed istintivi che senti di aver appreso nella tua tenera età, quali sarebbero? Cosa ti ha lasciato Gaber?

Sicuramente mi lascia la libertà, crescere liberi senza riempire le giornate a vuoto, e che ognuno deve seguire la propria strada in modo libero e autonomo. Affrontare la vita e le cose complicate di essa con una certa ironia ed ottimismo, c’è anche tanto pragmatismo e cinismo nel lavoro di mio nonno, ma sempre tanta speranza che le cose possano andare meglio. E poi mi ha insegnato che per parlare di cose serie e profonde occorre leggerezza.

Proprio quest’ultima è stata la chiave di lettura per scoprire il Signor G. Giorgio Gaber non è solo musica da ascoltare, ma soprattutto da vedere: è teatro, è poesia. Una leggerezza che “non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

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