Cultura

La festa: dare senso al tempo

Alla luce del presente che stiamo vivendo, viene da chiedersi: che senso ha celebrare la festa?

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Maestro Venceslao, Aprile, particolare del gruppo di affreschi del Ciclo dei mesi, fine XIV inizio XV secolo, castello del Buonconsiglio, Trento

È Pasqua. Normalmente sono le pubblicità di uova colorate e colombe mandorlate a ricordarcelo, insieme alle vacanze, tanto agognate già dall’Epifania. Quest’anno però sembra ancora più difficile renderci conto che è Pasqua: viviamo in un tempo sospeso, in cui le giornate si susseguono una dopo l’altra, immobili. Il mondo esterno sembra lontano e inaccessibile, e la realtà è diventata quella domestica, chiusa e riparata delle nostre case. Sembra quasi di essere perennemente in vacanza, come una volta, quando ad agosto tutte le attività lavorative si fermavano: i cinema, i ristoranti, i negozi erano chiusi, e il tempo si dilatava all’infinito. Non siamo in vacanza, e non solo perché i più fortunati possono proseguire con il loro lavoro o con lo studio a distanza, ma perché la vacanza ha una durata di tempo ben precisa e limitata: scandisce il tempo del lavoro, segnando un momento di pausa, che risulta tale proprio perché include il fatto che avrà termine con la ripresa delle attività. Se le vacanze fossero infinite, non sarebbero più un tempo straordinario, ma ordinario, che segue un andamento lineare.

Quando non esistevano le vacanze come le intendiamo noi, era la festa a scandire la vita quotidiana, legata al dovere: il tempo della festa è ciclico e quindi eterno, così interrompe quello lineare e finito della quotidianità. Nell’antichità la dimensione festiva era dedicata al divino e alla sua natura infinita, come ci dice l’etimologia stessa della parola: dal latino fas, l’obbligo sacro, opposto al civile ius. L’uomo, essere finito e imperfetto, tende all’eternità e alla perfezione, di cui può fare esperienza durante la festa. La sospensione del tempo ordinario lasciava spazio alla libertà e alla trasgressione delle norme della vita quotidiana. Tuttavia la festa aveva delle sue regole che dovevano essere rispettate, proprio per mantenere intatta la dimensione straordinaria e libera del festivo: modalità e tempi di inizio, svolgimento e fine. La festa sospendeva e rendeva liberi, proprio per ribadire l’importanza delle regole del tempo ordinario.

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Maestro Venceslao, Dicembre, Ciclo dei Mesi

Dalla seconda metà del Settecento, con la prima rivoluzione industriale, è andata perdendosi l’idea di festa collettiva di un tempo, in cui la comunità era unita da rituali e simboli. Oggi tende a prevalere, nella nostra società, una dimensione individuale e disgregante, che riflette la frammentarietà e la complessità della realtà. La festa, con l’abolizione dell’obbligo sacro, ha ormai perso le caratteristiche di trasgressione e di evasione temporale che aveva un tempo, poiché minacciano le routine finalizzate alla produzione e al consumo: la società moderna ha reso prevedibili i comportamenti sociali. La festa antica obbligava la comunità a partecipare e unirsi, diventando occasione di visione: vedere e riconoscere se stessi attraverso l’altro, stando insieme. Questo sguardo profondo è mancato a partire da metà Settecento fino a noi: siamo più interessati ad apparire e a mostrarci, senza cercare di comprendere davvero l’altro e noi stessi.

Nonostante ciò noi sentiamo ancora il desiderio e l’esigenza di fare festa: trovare l’occasione di stabilire un contatto con l’altro per esprimere se stessi. Siamo passati dalla festa, unico evento che coinvolgeva tutta la comunità, ai numerosi eventi che cercano di andare incontro a una pluralità di pubblici. Ciò diventa evidente nella scansione temporale dell’anno: nell’antichità il calendario delle società agricole si basava sull’andamento delle stagioni unito alla simbologia cristiana; per cui il tradizionale periodo festivo corrispondeva all’equinozio primaverile (celebrazioni pasquali) e autunnale (Ognissanti e il Giorno dei Morti), e al solstizio estivo (Pentecoste) e invernale (Natale e Capodanno). Oggi invece il nostro calendario, pur basandosi ancora sulle principali festività cristiane, è scandito da eventi come le notti bianche estive o i festival culturali, che in primavera e in estate si svolgono all’aperto, mentre in inverno e autunno al chiuso. Alla base degli eventi però rimane la dimensione temporale della festa che con il suo tempo circolare cerca di scandire la linearità del nostro tempo, spingendo la società a fermarsi, almeno per un momento, per riflettere sulla sua memoria e sulla sua cultura.

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Maestro Venceslao, Gennaio, Ciclo dei mesi

Oggi siamo stati costretti a fermarci e a osservare con ritrovata consapevolezza la nostra realtà, valutando quali suoi aspetti possono essere mantenuti, cambiati, ripensati. È un momento di riflessione in cui possiamo pensare alle scelte che potremo fare in futuro. Potrebbe essere il momento per vivere la festa con consapevolezza e in modo nuovo, proprio alla luce della situazione attuale che, per ora, non ci permette un contatto diretto con l’altro. Potremmo riconsiderare la festa: com’era, cos’è diventata e come possiamo e vogliamo trasformarla. Ricordiamo che fin dall’antichità l’uomo ha dovuto attraversare periodi bui, di confusione e smarrimento collettivi, che però sono sempre stati affrontati e superati anche grazie alla festa: una dimensione stra-ordinaria, da vivere insieme, in cui rivivere il passato, proiettandosi al futuro, aperti a tutte le possibilità. La festa non è qualcosa di passato e dimenticato, rimane attuale, sempre parte dell’essenza degli esseri umani, perché dà senso al tempo che viviamo.

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Maestro Venceslao, Agosto, Ciclo dei Mesi

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