Attualità

La Costituzione: libertà è partecipazione

La Costituzione, è la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.”

Queste sono parole di Piero Calamandrei, tra i fondatori del Partito d’Azione e del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Firenze, partecipò in prima persona alla Resistenza e fu membro dell’Assemblea Costituente. Riteneva che la più grande eredità lasciataci dalla Resistenza fosse la Costituzione della Repubblica Italiana, definita da lui stesso non una carta morta, ma un testamento, un testamento di centomila morti che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.

Tutto iniziò nel 1848, quando, a causa delle rivoluzioni e dei moti popolari dilaganti, i sovrani concessero alcune costituzioni. Lo Statuto Albertino rese l’Italia una monarchia costituzionale con una costituzione ottriata, ossia concessa dal sovrano Carlo Alberto di Savoia, che si caratterizzava per la sua natura flessibile, ossia derogabile ed integrabile in forza di un atto legislativo ordinario. Rimase in vigore quasi 100 anni.

Durante il ventennio fascista (1925-1945) a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, lo Stato fu deviato da Mussolini verso un regime autoritario in cui le forme di libertà vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, il diritto di voto fu eliminato. Venne riconosciuto legittimo solo un partito, ovvero il Partito Nazionale Fascista, nel 1925 vennero emanate le Leggi fascistissime e nel 1938 le Leggi razziali.

Durante la seconda guerra mondiale ci furono milioni di morti, dal 1943 al 1945 in Italia ci fu una vera e propria guerra civile tra i fascisti della Repubblica di Salò, i cosiddetti repubblichini, e i partigiani, organizzati in brigate che agivano con azioni di guerriglia.

Cesare Pavese ne La casa in collina del 1948 descrive l’orrore della guerra civile:

Guardare certi morti è umiliante. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.”

Per questi motivi l’Assemblea Costituente decise di scolpire tra i Principi Fondamentali alcuni principi non revisionalbili: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, la sovranità appartiene al popolo, tutti i cittadini hanno parità sociale, le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge e la libertà personale è inviolabile.

La vittoria della Resistenza italiana fu possibile perché appoggiata attivamente da vasti strati della popolazione. Mobilitò i centri urbani, le campagne, gli ambienti intellettuali, il proletariato, il quale alimentò le formazioni partigiane e combatté contro il nazifascismo. Per questa sua dimensione popolare la Resistenza approdò infatti alla fondazione di una repubblica democratica con il referendum del 2 giugno 1946, come deciso col Patto di Salerno. Votarono per la prima volta anche le donne.

Si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente.

L’assemblea costituente è stata il luogo in cui si sono incontrati momenti diversi della storia d’Italia: gli esponenti della vecchia classe liberale, coloro che da antifascisti avevano conosciuto l’esilio ed il carcere, quelli che avevano combattuto nelle file della resistenza e che erano soprattutto giovani come me che trovavano in quella esperienza la più grande scuola politica a cui si potesse partecipare.”

Così spiegava Nilde Iotti, madre costitutente insieme a molti altri come Palmiro Togliatti, Alcide De Gasperi, Emilio Lussu, Umberto Terracini e Giuseppe Grassi.

Dominarono le elezioni e l’Assemblea tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana; il Partito Socialista e il Partito Comunista. Nonostante le forti divisioni ideologiche trovarono un accordo e la Commissione dei Settantacinque venne suddivisa in tre sottocommissioni: la prima si occupò dei Principi fondamentali e dei diritti civili e politici, la seconda dell’organizzazione costituzionale dello Stato e la terza dei rapporti economici e sociali.

I 139 articoli vennero approvati dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, firmati dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre e promulgati il 1º gennaio del 1948.

Ma quando questa Costituzione entrerà in vigore?

Se 70 anni fa l’obiettivo dei padri costituenti era acquisire i diritti e rivendicarli, oggi il problema è non solo esercitarli ma anche sapere come esercitarli; spesso infatti la situazione economica, politica, storica del nostro Paese non consente l’attuazione delle libertà conquistate e la dignità umana non è pienamente realizzata.

La nostra Costituzione è soltanto in parte una realtà, è ancora un programma, c’è tanto lavoro da compiere. L’articolo 3 afferma infatti:

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Soltanto quando questo obiettivo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Tutti siamo chiamati a questo impegno, non a caso la Costituzione inizia nell’articolo 1 e finisce nell’articolo 139 con la parola Repubblica, res publica, cioè “cosa di tutti”. Il torto più grande che si può fare a chi ha dato la vita per i nostri diritti, è l’indifferenza alla politica, al mondo, alla libertà.

Oggi è facile, ed anche piuttosto comune, che una persona si consideri un cittadino responsabile solo perché osserva le leggi, fa il suo lavoro, ed esprime la sua scelta politica, lasciando che «gli altri» si preoccupino del benessere della nazione. Per realizzare i diritti della nostra Costituzione è invece indispensabile la partecipazione in modo che l’indifferenza non diventi, come direbbe Antonio Gramsci, il peso morto della storia.

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